Cesenatico (Cesena), 14 ottobre 2017 - Ventidue anni, un mostro enorme da affrontare e tanta determinazione. Così tanta da non poter lasciare indifferenti le persone intorno a lui, colleghi e datore di lavoro in primis. È una storia triste ma anche di solidarietà e amicizia quella che arriva da Cesena, dove Steven Babbi lotta da quando aveva 11 anni contro il Sarcoma di Ewing, grave forma tumorale che colpisce le ossa e che ne ha impedito la regolare crescita fisica.
Operato a marzo per l’asportazione di un polmone, Steven sta affrontando una lunga convalescenza e non può ancora tornare al lavoro alla Siropack Italia Srl di Cesenatico, azienda di imballaggi dove svolge la mansione di terminalista.
Ma al lavoro nessuno lo ha dimenticato e così, ora che sono scaduti i 180 giorni di malattia annui, il massimo che l’Inps arriva a coprire per legge con l’indennizzo, tutti hanno pensato a come aiutarlo: inizialmente i colleghi volevano fare una colletta, poi il datore di lavoro ha deciso che sarà l’azienda stessa a garantirgli la busta paga, proprio come se lavorasse: «È giovane e gli vogliamo bene, ha dato tanto all’azienda: è generoso e umile. Se le leggi sono sbagliate bisogna ribellarsi e cambiarle». Nell’attesa che Steven vinca anche questa battaglia.
«Con l'aiuto del mio datore di lavoro, della famiglia e degli amici veri riuscirò sopravvivere». Steven Babbi, il giovane malato di tumore che non riceve più l’indennizzo dall’Inps perché sono scaduti i termini dei 180 giorni di malattia previsti dalla legge, si fa forza e reagisce con un carattere eccezionale di fronte a una situazione avversa su più fronti.
Steven, come va? «Diciamo benino, anche con un polmone solo ce la posso fare».
Dove si trova adesso? «Sono a casa a Cesenatico».
Tornare in famiglia aiuta a sollevare un po’ il morale. «Sì, mi segue mia mamma Monia che è in cassa integrazione, ma mi stanno vicini anche papà Athos e i miei fratelli Kevin e Jason».
Come trascorrerà questo fine settimana? «Mi aspettano giorni di antinfiammatori e morfina per il dolore. Fortunatamente ho degli amici che non mi abbandonano mai, conosciuti alle elementari e alle medie. Mi conoscono bene, sono importanti, mi scarrozzano in giro e andiamo anche al bar».
Le è stata diagnosticata la malattia a 11 anni, come è accaduto? «Avevo finito la prima media, caddi in bici e mi ritrovai con una gamba gonfia in maniera anomala. Fui ricoverato a Cesena, poi al Rizzoli di Bologna, mi fecero una biopsia ossea e capirono subito qual era il mio male. Da allora sono stato sottoposto a cinque interventi alla testa del femore e all’anca, dove ho una protesi».
Un ragazzo di nemmeno 22 anni dovrebbe avere una vita diversa. «Io mi auguro di avere presto una vita migliore, ho imparato che dobbiamo affrontare e risolvere i problemi uno alla volta. Ora mettiamo a posto la gamba e il fegato. Finché sono vivo c’è speranza».
In questa situazione difficile l’Inps ha applicato la legge dei 180 giorni: una brutta botta. Avrebbe mai immaginato tanta solidarietà dalla sua azienda? «È la classica situazione in cui piove sul bagnato. La mia fortuna è avere dei titolari che mi sostengono, o io e la mia famiglia saremmo in difficoltà. Percepisco un assegno di invalidità, ma quando devo girare per cliniche e sostenere spese i soldi non bastano mai».
Quanto le manca il lavoro? «Tantissimo. Con i colleghi della Siropack ho un rapporto splendido, inoltre per un tipo come me è importante avere progetti e cose da fare. Lavorare mi fa sentire utile e vivo; il lavoro è la mia cura».
E pensare che oggi molti giovani non vogliono lavorare... «Già, è incredibile. Ne conosco tanti e quando parliamo glielo dico sempre. Ragazzi, voi che godete di buona salute e potete fare tutto, non dovete sprecare le giornate».
In questi giorni di ulteriore grande sofferenza, lei ha avuto un pensiero per tutti. «Io non mollo e stringo i denti. Sono fortunato, a voi sembrerà strano che lo dica, ma è veramente una fortuna avere dei medici che mi rimettono in piedi, una famiglia unita, un datore di lavoro eccezionale e degli amici speciali».