Cesena, 18 febbraio 2017 - La posta in palio è altissima. Sul tavolo verde del processo al broker di San Piero in Bagno (Cesena), accusato di essersi giocato alle slot machine 4 milioni di euro di amici e familiari, la possibilità di chiamare in causa il casinò di Venezia. E questo per una serie di motivi: il broker avrebbe dilapidato solo lì i 4 milioni, il casinò non avrebbe fatto nulla per fermare la corsa all’impossibile dell’uomo accusato di truffa e, anzi, lo avrebbe blandito con una tessera vip. Ipotesi, al momento, sulla roulette di una storia che va raccontata dall’inizio.
Ore 8. Il manager finanziario Silvio Vannini è davanti al bivio: «mezza bottiglia di whisky e cento pasticche di Xanax per farla finita, oppure entrare nella sede della Guardia di finanza di Forlì per vuotare il sacco». Quel 15 marzo 2015 Vannini scelse la seconda strada e gli investigatori delle fiamme gialle scoprirono la storia di un uomo che, nel giro di un paio d’anni, si era giocato alle slot machine quasi 4 milioni. Soldi, tanti, quasi tutti di altre persone. Quasi tutti di amici, familiari e clienti entrati nell’orbita gravitazionale di un ex uomo di successo finito nel buco nero della ludopatia.
Vannini aveva creato una macchina perfetta. Aperta 24 ore su 24. Una ‘banca’ in grado di accogliere tutto: dagli assegni ai bonifici, dai soldi consegnati nel pugno alle obbligazioni.
Spicca il caso di una donna che in totale ha dato a Vannini 730mila euro. Un tesoro consegnato attraverso versamenti a mano anche di 30mila euro e di bonifici bancari da 70mila. Obbligazioni convertibili da 40mila euro, assegni circolari da 20mila. E, ancora, persone che nel giro di quattro mesi hanno inviato a Vannini 360mila euro in blocchi diversi da 20mila a 100mila euro.
Soldi che i risparmiatori con il sogno di interessi da ‘urlo’ avevano consegnato al manager di San Piero con la speranza di fare il grande salto. Ma nessuno poteva sapere, da ciò che sta emergendo, che il grande salto sarebbe stato, di lì a poco, un volo nell’abisso del gioco.
Tra le vittime ci sono coppie, commercianti, amici e familiari di Vannini. La moglie gli aveva affidato quasi 100mila euro. I soldi venivano calamitati verso Vannini a un ritmo vertiginoso.
Ma chi era Silvio Vannini? Il self made man perde i genitori molto presto. Entra in banca quando ha ancora i calzoni corti e si laurea in giurisprudenza mentre lavora. Nel 1983, in pieno fervore economico, non si accontenta della carriera all’interno dell’istituto di credito ma sceglie di entrare nel magico mondo delle banche d’investimento. Classe, fame e caparbietà sorreggono la sua scalata lungo la parete dell’ascesa sociale. E scattano Porsche, Mercedes, case, vacanze e vita di agi. «Tutto frutto del mio sudore – puntualizza con orgoglio Vannini –. Tutto quel che toccavo diventava oro».
«Ero drogato di successo – ammette –. Onnipotente. E quando sui 50 anni ho sentito che non reggevo più la competizione con i 30enni ho cercato qualcosa di altrettanto folle: il gioco».
Dal portafogli di Vannini oggi esce solo una carta: quella della mensa Caritas. La sua età dell’oro, prima che varcasse fino a 140 volte l’anno la soglia del casinò, era all’insegna dell’irresistibile scalata sociale. Oggi l’ex Re Mida chiede scusa, ha perso 15 chili e dalla comunità dove si è ritirato cerca di levarsi quel macigno dal cuore.
Ma in alto Savio, dove la linea dei monti cuce Romagna e Toscana e dove c’è chi sotto i materassi ‘nasconde’ un tesoro, non ne vogliono sapere. «Ha rovinato un sacco di persone. Ci fidavamo di lui». Si fidavano ciecamente di quel broker (nato in terra toscana, a Bibiena, ma cresciuto a San Piero) che trasformava tutto in oro e in sogni di ricchezza. Il prossimo 5 aprile Vannini tornerà in aula, davanti a lui un croupier con la toga da giudice.