di Ada Grilli*
Metti una sera a cena nella Lapponia svedese, mangi zuppa di renna, che altro se no, sei ospite in una casa dei Sami (altrimenti conosciuti come Lapponi) con una troupe della tv giapponese interessata a provare e filmare cibi tradizionali di questo popolo.
E’ una notte fredda e secca di un gennaio di oltre vent’anni fa, come ce ne sono tante negli inverni del nord del mondo, ed è quasi mezzanotte. Uno esce a fumare forse una sigaretta e rientra subito con gli occhi fuori della testa. C’è una aurora boreale!
Tutti fuori e la zuppa di renna sarà anche speciale ma potrà aspettare. Che aurora! La mia prima volta e anche della troupe giapponese. Tutti eccitatissimi e a bocca aperta. Una buona ora di spettacolo danzante nei cieli boreali. Un’ora di emozioni inattese e gratuite che mi hanno lasciato un germe. Cos’era quella cosa di cui sapevo solo il nome?
Era bellissima, ma io ero a mani nude, ignara di come si potesse catturare, e per di più senza conoscenze di base per capirla. Ma dove girarsi? A est, a ovest? E quei rumori, gli schiocchi, i fruscii ce li stavamo sognando o erano veri?
Doveva essere un’aurora a corona, oggi posso chiamarla col suo nome, ma è l’unico particolare che a posteriori riesco a ricordare. Tutti gli altri dettagli di quell’aurora, che non tornerà mai più esattamente uguale, come non ce n’è stata una uguale prima per confrontarla e poter dire: "Ecco era proprio cosi". Sarebbe stata poi diversa dalle tante aurore viste dopo. Alcune ancora per caso, altre per ricerca programmata, ostinata e dura.
Non sapevo nulla dunque, ma questo non ha impedito che le corde del mio cuore e i neuroni del mio cervello non ne fossero profondamente toccati. In questo caso il cuore ha fatto da avanguardia e il cervello dietro, a seguire, a voler sapere. Mi sono messa a studiarle, ho incontrato ricercatori dall’Alaska alla Norvegia.
E’ il percorso giusto, ma non sempre si può. Dovrei forse invitare chi non ne ha mai viste a inforcare un aereo e correrci dietro sperando di avere la mia stessa fortuna? E che fare se non gli toccasse in sorte di vederla al primo tentativo, alla prima notte in area artica o subartica, al primo freddo pungente? Tornare certo, ma ci vuole costanza, tempo e denaro.
Io sono tornata e tornata, in tutti gli otto paesi artici compresa la Siberia, e ho imparato ad attendere, ho cercato i luoghi più scenografici e più bui, (ma talvolta li ho trovati per caso), ho imparato a fotografare. Sono passati più di vent’anni da quella sera a nord di Arjeplog nella Lapponia Svedese e da allora non mi basta continuare a spendere le mie notti in piedi fotografando le aurore.
E’ così che da almeno dieci anni offro l’occasione, a chi non può o non è ancora pronto a partire per il nord, di vedere le mie aurore, ma anche di capire come si formano e di apprezzare come alcuni artisti le hanno fatte proprie e interpretate con i mezzi che sanno usare, la pittura per alcuni artisti di Brera, i metalli preziosi per l’artista pisana Patrizia Fratta. Offro sogni artici a gente di ogni età, ne sono sicura. Questa volta, dopo Genova, Rovereto, L’Aquila, a Cesena e dintorni. Ai visitatori della Mostra, alla Galleria Pescheria fino al 9 gennaio, tradurre i sogni in realtà!
*scrittrice e ricercatrice