Mini storia locale delle biciclette. Abbiamo ritrovato un interessante censimento delle biciclette risalente al 1937. La fonte è attendibile: si tratta della rivista ‘Le Vie d’Italia’ che realizzò l’indagine in collaborazione con le Provincie d’Italia. Sulle biciclette vigeva una tassa di 10 lire: il bollo fu abolito nel 1938. Quel censimento contò per la nostra Provincia, che allora comprendeva anche Cesena e Rimini, 93.561 biciclette. Essendo gli abitanti 444.528 (censimento 1936) c’era una bici ogni 6 abitanti: con densità ancora più alta in pianura più popolata della montagna.
Nel primo Novecento le biciclette erano costose: sulle 500 lire. Trenta anni dopo il loro costo era sceso: 400 lire le migliori, sulle 300 lire quelle più economiche e da donna. In genere erano comprate a rate. Sul finire degli anni Venti erano già numerose le officine per bici in città e nelle principali frazioni: San Vittore, Pievesestina, Calisese, Ronta. Le tipologie erano diverse: c’erano botteghe per la sola riparazione e negozi con officina, concessionari delle migliori marche. L’officina più nota in città era di Fernando Lombardini, detto Sabadèn, con negozio in Corte Dandini: proponeva anche due bici di produzione propria, la ‘Lombardini’ e la ‘Romagna’. Un altro negozio rinomato era quello di Domenico Evangelisti, detto Manghìn, instancabile animatore del ciclismo sportivo. Nella sua bottega si era presentato un ragazzo squattrinato ma più che appassionato: Mario Vicini, da Martorano. Chiese una bici da corsa. Evangelisti gli vendette una bici marca “Gloria”: ad un prezzo di favore, 300 lire pagabili in rate settimanali di 5 lire l’una. Manghìn aveva visto giusto. Vicini, detto ‘Gaibèra’ (soprannome di famiglia) diventerà un gran corridore. Nel 1937, pur correndo da individuale, giungeva secondo in un rocambolesco Tour de France entusiasmando anche i francesi. Gaibèra aveva le orecchie a sventola come Marco Pantani. Dallo sport al costume popolare: sempre nel 1937 Secondo Casadei componeva una simpatica canzone, un piccolo classico del liscio: ‘un bès in biciclèta’. Nasceva un nuovo mestiere: i custodi, spesso donne, di bici davanti ai cinema, presso il mercato in piazza, i ritrovi. Durante la guerra le bici furono usate dai partigiani gappisti (Gruppi di Azione Patriottica) per veloci azioni di guerriglia. Il 4 febbraio 1944 un bando vietava l’uso delle bici anche di giorno nei Comuni di Forlì e Cesena. Le operaie dell’Arrigoni si ribellarono: e noi come facciamo ad andare al lavoro? Copertoni e camere d’aria diventavano introvabili: tranne che al mercato nero a prezzi assurdi.
L’importanza delle biciclette anche nella ricostruzione post bellica fu lo spunto d’un grande film del 1948, capolavoro del neorealismo : ‘Ladri di Biciclette’, regia di Vittorio De Sica, sceneggiatura di Cesare Zavattini, attori presi dalla strada. Vinse l’Oscar e fece scuola nel cinema mondiale, contribuendo a ridare all’Italia la faccia e la dignità che il regime fascista aveva offuscato. Mussolini nei suoi vaneggiamenti guerrafondai aveva preteso di fare degli italiani ‘otto milioni di baionette’. Eravamo milioni di biciclette.