dall’inviato
Gianmarco Marchini
A testa altissima. Fuori da una notte e da uno stadio che resteranno a lungo dentro il Bologna. Emozioni che il tempo faticherà a scolorire. I rossoblù tornano da Liverpool senza souvenir e senza punti, ma con una valigia più piena: dentro ci sono nuove certezze. Restare in partita fino alla fine, guardando dritto negli occhi per settantacinque minuti i Reds, tra le fiamme di Anfield, è qualcosa che può capitare soltanto alle squadre vere. Il Bologna questa dimensione l’ha raggiunta ormai da un po’ di tempo e la sta difendendo con la forza delle idee e di un gruppo, cambiato, sì, tanto nei singoli, ma non nella sostanza. Ha meno individualità, meno talento specifico forse, il nuovo Bologna, ma ha la scorza durissima e il carattere del suo allenatore, quel Vincenzo Italiano che, non a caso, alla vigilia, aveva premuto sul tasto della personalità, sicuro che i suoi ragazzi sarebbero scesi in campo senza paura. Gran bel segnale, questo, perché restituisce il polso dell’allenatore.
Da queste parti, si sono sciolte tante squadre, perché il clima qua è rovente, da maniche corte a ottobre. Quel "You’ll never walk alone" che lievita dalla pancia di Anfield è un grido che emoziona e terrorizza al tempo stesso: un grido che schiaccia il campo e tantissimi avversari, spesso ancora prima che la partita cominci.
Ma i rossoblù non sono venuti in gita sulle sponde del fiume Mersey. Tutt’altro: l’atteggiamento è serio, gli sguardi quelli giusti. Anche se le scelte di formazione (Dallinga e Moro dal 1’) tradiscono forse qualche - legittimo - pensiero alla partita di domenica, in casa con il Parma, snodo cruciale di un campionato in cui i treni per l’Europa sono affollati. La Champions, invece, non è un’ossessione: soltanto un meraviglioso viaggio da addentare fino in fondo. Il Liverpool cercava punti per chiudere il prima possibile la pratica degli ottavi in questa nuov formula versione extralarge. Il Bologna quello che cercava l’aveva già trovato arrivando ad Anfield. Arne Slot schiera la squadra delle grandi occasioni, con Salah e tutti i titolarissimi.
L’avvio è forte come il vento che soffia da queste parti: se pensi di ripararti dentro un cappuccio, hai fatto male i conti. E, infatti, dopo due minuti Posch deve salvare sulla linea. Dall’altra parte, Dallinga segna, ma è offside. E’ una piccola puntura al gigante che reagisce subito. Palla dall’altra parte, affondo dei Reds e Mac Allister fa uno a zero. E’ soltanto l’undicesimo minuto. Il rischio è di un crollo verticale, anche perché il Liverpool sbuca ovunque, consuma le fasce. Contro David Luiz e Salah, il terzino diventa uno dei mestieri più usuranti. Il Bologna, però, resiste e reagisce, sfiorando il gol al 33’ quando Ndoye, il rossoblù più a dimensione Champions, serve Urbanski che si fa parare da Alisson un rigore in movimento.
Nella ripresa, t’aspetti i Reds spietati a chiudere la pratica, ma il Bologna non glielo permette. Anzi: è Orsolini all’11’ a venire murato ancora dal portiere brasiliano. La gara resta aperta, fino a che Salah fa quella giocata lì: rientro e sinistro imparabile sul palo lungo. E’ il 75’, la gara finisce lì. Ma il viaggio di questo Bologna è destinato a continuare. I tremila tifosi rossoblù applaudono. A testa e voce altissima anche loro.
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