Sul campo tutti lo conoscono come Pingu, abbreviazione di Pinguino. Perché si porti dietro questo nome, però, non lo sa nemmeno lui, Luca Tognetti.
"Escludo – dice ridendo – che sia qualcosa legato ai Pinguini Tattici Nucleari perché quando me l’hanno affibbiato, questo soprannome, il gruppo musicale italiano non esisteva nemmeno". Pingu, però, tira dritto, portandosi dietro anche la nomea di essere uno dei migliori giocatori italiani di ultimate frisbee. Forse il migliore. "Ma questo non dovete chiederlo a me. Non vorrei passare per quello che non sono. Io penso solo a giocare perché in campo, mi diverto". Non è un atleta professionista per il semplice fatto che, nell’ultimate frisbee, il professionismo non esiste. Ma anche se non gli dà da vivere, non cambierebbe il suo sport con qualsiasi altra disciplina al mondo.
Pingu, pardon, Luca, cominciamo dai dati anagrafici.
"Detto che il cognome è Tognetti, sono nato a Bologna il 22 gennaio 1997".
Professione?
"Nel frattempo mi sono laureato in Ingegneria Meccanica e lavoro per una compagnia che si occupa di compositi".
Primo approccio con il frisbee?
"Seconda media, scuola media Carracci, quella di via della Battaglia".
Che accade?
"Davide Morri porta il verbo in giro per le classi. Scopro il frisbee e il gioco. Non lo lascio più anche se…".
Anche se?
"Dopo qualche anno ho avuto anche l’impulso di smettere. Ci ho ripensato molto presto, per fortuna".
Palmares?
"Un Europeo per club nel 2019, un mondiale su sabbia, sempre per club, nel 2024. Poi il secondo posto al mondiale under 24 nel 2018. Un terzo posto".
A livello italiano?
"Credo di aver messo da parte sei scudetti".
Il mondiale?
"Come straniero".
In che senso?
"Ho giocato nella formazione belga del Leuven".
Irene Scazzieri ha appena vinto il titolo americano con le Fury di San Francisco.
"Qualche offerta dal Canada l’ho avuta anche io. Qualche proposta concreta. Ma ho dovuto declinare l’invito".
Motivo?
"Semplice. Il professionismo non esiste. Si tratterebbe di mettere in discussione la propria vita, anche quella lavorativa, per 5-6 mesi. Non me lo posso permettere".
Nonostante tutto questo…
"Frisbee per sempre".
Ma perché uno dovrebbe scegliere il frisbee?
"Cominciamo con escludere motivazioni economiche. Come ho detto non solo non si guadagna nulla, ma ci sono anche delle spese".
E allora perché giocare?
"Perché è uno sport che si pratica all’aria aperta. Perché c’è un ambiente fantastico. Ci sono tanti ragazzi giovani come me. E si può girare il mondo".
Sicuro?
"Sicurissimo. Ho avuto la fortuna di girare con il club e la nazionale. Dappertutto, se voglio, posso trovare ospitalità e bere una birra con un amico o con degli amici. Naturalmente questa ospitalità la ricambio. Ogni tanto arriva qualche atleta da fuori. Poi vorrei precisare un aspetto".
Quale?
"Quando si parla di frisbee si è portati, inconsciamente, a pensare che la componente agonistica non esista, per il semplice fatto che non è prevista la figura dell’arbitro. La competizione, nel rispetto delle regole e dell’avversario, invece, c’è".
Qual è il suo ruolo in campo?
"Il portatore della difesa".
Tradotto per i non addetti ai lavori?
"Una sorta di playmaker. Quello che tocca il maggior numero di dischi e li smista".
Prossimi obiettivi?
"Detto che nel frattempo sono diventato allenatore della nazionale italiana under 24, ci sono i mondiali per club, nel 2026, a Limerick, in Irlanda. All’ultimo mondiale Bologna si è classificata al quinto posto…".
E quindi?
"Credo che il Bologna Flying Disc sia ormai maturo anche per un podio iridato. Stiamo crescendo".
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