Bologna, 4 marzo 2023 – L’Europa è come un accento: può cambiare il senso di una parola. Può cambiare il senso di una stagione. Jhon Lucumì – con l’accento rigorosamente da leggere – è un gigante dal sorriso gentile. Ha spalle larghe per spostare una montagna, ma conserva l’animo dolce del ragazzino che, mano nelle mano con l’abuela Guillermina, attraversava il caos di Cali per inseguire un sogno dalla forma rotonda.
"I miei genitori dovevano lavorare duro – racconta il 24enne –, così mia nonna mi veniva a prendere a scuola, mi faceva mangiare e poi mi portava agli allenamenti: c’erano da fare quindici-venti minuti di camminata attraverso zone poco adatte a un bambino".
Quel bambino ne ha fatta di strada, oltrepassando l’Atlantico per un viaggio dalla Colombia al Belgio: ad aspettarlo, la maglia del Genk e i primi esami nel calcio che conta. Tutti superati brillantemente, prima in campionato, poi in Europa League, in Champions e con la camiseta della nazionale.
A un certo punto, in tutte le storie dei predestinati, arriva la grande chiamata. Leggenda narra che nell’estate 2021 Jhon fu a ventidue minuti dal passare al Barcellona, ma un ritardo nel presentare la documentazione fece saltare tutto. Versione mai confermata dal diretto interessato. Ama tenere i piedi per terra, lui: e se proprio deve staccarli, lo fa soltanto per sovrastare gli avversari. Chiedere conferma ai giocatori dell’Inter.
Lucumì, che cosa si prova a battere i nerazzurri?
"L’emozione è stata grande, grandissima perché come squadra abbiamo lavorato una settimana intera per regalarci una gioia così e riuscirci è stata una felicità immensa".
Ma come avete fatto lei e Sosa ad annullare con questa facilità due come Lautaro e Lukaku?
"Noi li abbiamo marcati bene, ma il risultato è frutto del lavoro di tutta la squadra, per non concedere loro occasioni e limitarne i rifornimenti".
Thiago ripete che tutte le partite sono uguali: dopo aver battuto l’Inter, possiamo dire che non è vero?
"Noi prepariamo tutte le gare allo stesso modo, lavorando al massimo. Poi chiaramente vincere contro squadre con questa storia e questi campioni ti dà un plus a livello emozionale, ma anche tecnico: prestazioni così ti lasciano la convinzione di poter giocare faccia a faccia contro chiunque".
A cominciare dal Torino…
"Attenzione: credo sarà un match ancora più complicato di quello contro i nerazzurri. Dovremo metterci ancor più attenzione, ancor più voglia. E’ una partita importantissima per noi e per loro, siamo vicini in classifica: la posta in palio è alta".
Possiamo finalmente sdoganare la parola Europa?
"E’ chiaro che quando stai in questa posizione di classifica ci pensi. Però sappiamo che è un campionato molto difficile: non possiamo ragionarci troppo ora, mancano ancora troppe partite. Noi pensiamo solo a lavorare, a coltivare una mentalità positiva, credere di potercela fare: e ovviamente ci vogliamo riuscire. Siamo sicuri di poter restare in gioco fino alla fine. Ma per prima cosa dobbiamo vincere a Torino".
Lei con il Genk vinse un titolo che mancava da 8 stagioni. Qui l’ultima gara europea è stata giocata più di vent’anni fa.
"E’ molto emozionante poter sognare un traguardo così, l’idea di dare questa felicità ai nostri tifosi. Ma questa prospettiva non cambia il nostro approccio, che è vivere partita per partita".
Certo che Thiago vi è entrato in testa come una religione.
"E’ un tecnico molto esigente e, dopo la vittoria sull’Inter, lo è ancora di più. Vuole il cento per cento ogni giorno. Sembra tutto calmo, ma si arrabbia, eccome se si arrabbia. Però ha saputo creare un grande feeling con tutti noi".
Adesso, però, Motta dovrà essere bravo a gestire l’abbondanza. In difesa ci sono tutti i centrali disponibili: lunedì chi gioca? Lei più un altro?
"No, non so se giocherò. Decide il mister. E’ positivo che siamo tutti pronti, questo ci offre più soluzioni, stimola la competizione e alza il livello degli allenamenti".
A proposito, chi è il compagno più difficile da marcare?
"Ne abbiamo tanti, ognuno con caratteristiche diverse. Orsolini, per esempio, se ti punta in velocità, diventa dura acchiapparlo. Ma anche Arnautovic: se prende il pallone, vai poi a toglierglielo".
E l’avversario più tosto?
"Ne ho affrontati parecchi forti: Osimhen, Lukaku, Lautaro. Ma Giroud e Leao sono i due che più mi hanno fatto soffrire".
Che differenza c’è, invece, tra vivere a Genk e a Bologna?
"Si sta benissimo in entrambe le città, ma Bologna è molto più grande, offre tante opportunità, così come il club e la serie A hanno una dimensione più importante. Credo che la differenza più marcata sia soprattutto culturale: in Belgio si pensa al calcio solo il giorno della gara. Qui il tifoso vive la partita tutta la settimana: c’è molta più passione, è come in Sud America".
E il suo rapporto con il popolo rossoblù com’è?
"Vivo in centro, sono contento qui, ancor di più per il momento magico che attraversiamo, in città si respira quest’entusiasmo. Incontro spesso i tifosi, sono molto carini: mi fanno molti complimenti per le vittorie, sono felici. E ovviamente mi chiedono di portarli in Europa (ride, ndr)".
E con l’italiano come procede?
"Bene, sto migliorando. E’ importante per me imparare la lingua perché il mister vuole che comunichiamo molto in campo".
Lei sembra prontissimo a qualsiasi sfida. E’ pronto anche per fare il papà?
"Sì, io e la mia compagna Daniela non vediamo l’ora che venga al mondo Liam. Deve nascere a maggio, siamo molto felici. Abbiamo scoperto che lei fosse incinta appena arrivati a Bologna. Tornavo da una convocazione in nazionale, quando mi ha dato questa notizia meravigliosa".