ALESSANDRO GALLO
Sport

Douglas Un Leone per la gioia della Fossa

Nella Nba è amico fraterno di Lanier e McAdoo. Gioca a Venezia e va in Francia, poi il fratello John lo chiama in Fortitudo

Douglas Un Leone per la gioia della Fossa

Nella Nba è amico fraterno di Lanier e McAdoo. Gioca a Venezia e va in Francia, poi il fratello John lo chiama in Fortitudo

Con un nome del genere, non poteva che finire in Fortitudo. E diventare un idolo della Fossa dei Leoni. Stiamo parlando di Leon, il più vecchio dei fratelli Douglas, nato a Leighton, in Alabama, il 26 agosto 1954. E che sia stato un giocatore di un certo spessore, anche negli States, lo si capisce dall’accoglienza riservatagli dal paese natale. Già, perché a Leighton, in barba al fatto che di solito viene ricordato chi non c’è più, gli hanno persino dedicato una strada.

Una storia, quella del Leone, che affonda le radici nel cuore dell’Alabama: in una famiglia di otto fratelli (uno di questi, appunto, John) e il padre che muore quando lui ha sei anni. E il Leone che, non è ancora 208 centimetri, deve diventare adulto anzitempo. Quasi un padre, o quantomeno una chioccia, per tutti i fratelli e sorelle. Finisce all’università di Alabama e, nonostante sia il più giovane in campo, viene subito ribattezzato ‘gramps’. Che suona un po’ come ‘nonno’ o, se preferite, ‘grande vecchio’, perché dimostra una maturità e una calma insospettabili per un giovane.

Deve crescere prima del tempo, per la morte del padre e questa maturazione precoce se la porta dietro anche in palestra, dove è una sorta di allenatore aggiunto, oltre che un maestro della difesa. Chiuso il percorso accademico, nel 1976 Viene scelto al primo giro da Detroit, gioca spalla a spalla con Bob Lanier, famoso anche per le dimensioni dei suoi piedi. Bob calza un 22, misura americana, dalle nostre parti, più o meno, sarebbe equiparabile a un 57.

Gioca con Bob Lanier ed è amico fraterno di Bob McAdoo. Proprio McAdoo va spesso a mangiare a casa Douglas. Fino a quando la signora Douglas, al secolo Jacqueline, pone l’aut aut al grande Bob. "Ti avverto che non troverai più nulla da mangiare a questa tavola, se in partita continuerai a non passare il pallone a mio marito". Un’esperienza con i Kansas City Kings, prima di sbarcare in Italia. Nel 1982 gioca a Venezia, dove viene allenato da Asa Nikolic. Ma l’esperienza con la Reyer non ha seguito e il Leone si trasferisce in Francia, una stagione al Limoges, dove conquista il titolo.

"Ma in Francia non ho trovato il mio ambiente", dirà poi. Il suo ambiente lo trova in via San Felice che ha già sotto contratto John, il più giovane dei fratelli Douglas. E’ il 1984 quando Leon, chiamato dal fratello, scopre la Effe e i colori biancoblù. Ogni tanto torna a Venezia, dove ha conosciuto il fascino del Casinò. Si dice che vinca spesso e, la vulgata, sostiene che diventi un fedelissimo della Lotteria Italia, in questo caso senza tanta fortuna.

Tre stagioni in Fortitudo, con una media di 12 punti a partita ai quali, ogni sera, aggiunge 11 rimbalzi. E’ il valore aggiunto della squadra, uno capace di farsi sentire e di aiutare, nella crescita tecnica, anche il coach, Andrea Sassoli. Il Leone è uno che non si tira mai indietro e, non a caso, indossa la maglia dell’Aquila numero 13. Che è poi il numero storico del Barone Schull. Il Leone la veste senza avvertirne, almeno in apparenza, il peso. E si fa sentire, dando sempre l’esempio, trascinando il fratello ad alcune delle stagioni più divertenti dell’Aquila. Divertenti, anche se non mancano i momenti duri e di sofferenza.

Si rompe una mano, gioca con una fasciatura rigida per quasi tre mesi, senza lamentarsi mai. Un’altra volta, in Piazza Azzarita, in una gara contro Cantù, subisce un colpo alla testa. Il Leone perde conoscenza e viene portato a braccia negli spogliatoi. E’ steso nel lettino, in stato di semi incoscienza. Ma quando sente che i sanitari vorrebbero portarlo all’ospedale Maggiore, per accertamenti, Douglas si alza di scatto. La testa ancora gli gira. "Ma i miei compagni sono sotto nel punteggio, devo dare una mano".

Torna in campo, eroicamente. E per un soffio non spinge i suoi alla rimonta. Un’altra volta, siamo nel 1986, a Forlì, è meno coinvolgente. Non gradisce alcune scelte in attacco di Pellacani e, a fine partita, rincorre Nino negli spogliatoi, sfiorando la rissa. "Più che sfiorare la rissa – racconta oggi Pellacani – ho rischiato la vita. Si era arrabbiato con me e in spogliatoio mi mise le mani addosso".

Nino sopravvive, per fortuna, così come la Fortitudo. Il Leone nel 1987 cambia strada, ne sa qualcosa Mauro Di Vincenzo, allenatore di quella Fortitudo, che viene minacciato da qualche tifoso che non gradisce la scelta dell’Aquila di rinunciare al più vecchio dei fratelli Douglas. Altre quattro stagioni in Italia, a Pistoia, un campionato a Firenze e poi la decisione di intraprendere la carriera da allenatore. Un solo rimpianto.

"Avrei voluto incontrare di nuovo Asa Nikolic – disse nel 1987 –. La mia esperienza con lui è stata purtroppo breve, ma a Venezia ho avuto l’occasione di conoscere un grande uomo. E non avrei mai immaginato di trovare, fuori dagli Stati Uniti, un allenatore così preparato. Così vero".

(51. continua)

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