MASSIMO VITALI
Sport

Colucci, l’ex compagno di una vita al Verona: "Bologna, fidati del coraggio di Italiano"

Quattro anni da centrocampista rossoblù: "Vincenzo assomiglia a Motta nel coraggio, di sicuro come Thiago non si fa ’giocare dalla partita’"

Colucci, l’ex compagno di una vita al Verona: "Bologna, fidati del coraggio di Italiano"

Colucci, l’ex compagno di una vita al Verona: "Bologna, fidati del coraggio di Italiano"

Sei stagioni insieme al Verona, qualche saliscendi tra A e B, mille battaglie da coppia di centrocampo, un tourbillon di allenatori (Prandelli su tutti) e tante chiacchierate di calcio, dentro e fuori dal campo. Leonardo Colucci definisce Vincenzo Italiano "uno dei miei figliocci", anche se l’ex centrocampista ed ex allenatore delle giovanili rossoblù (4 anni da calciatore e 4 da tecnico del vivaio) ha solo cinque anni in più del nuovo allenatore del Bologna: Colucci è del ‘72, Italiano del ‘77.

Colucci, che giocatore era Italiano?

"Un grande metronomo, dotato di un lancio fantastico: da settanta metri ti sapeva mettere la palla sui piedi. Per le qualità che aveva penso di potere dire che avrebbe potuto fare una carriera perfino migliore".

E la coppia Colucci-Italiano?

"A Verona resisteva a tutti i cambi di allenatore. Eravamo ben assortiti ma soprattutto ci univa la capacità, e insieme la voglia, di leggere tutte le situazioni di gioco: si può dire che parlassimo lo stesso linguaggio. E non ne parlavamo solo al campo: frequentandoci anche fuori si finiva sempre a parlare di calcio e di tattica".

Quale spia si accende nel calciatore che da grande farà l’allenatore?

"La passione di stare sul campo, la voglia di alzare l’asticella, il fatto di cercare ogni giorno la soluzione giusta per migliorare la prestazione. In questo io e Vincenzo a Verona abbiamo avuto un grande maestro: Cesare Prandelli. Prandelli ti coinvolgeva, ti spiegava le cose: era un piacere lavorare con lui".

Adesso per Italiano è arrivata la chiamata del Bologna, con annessa la scomodissima eredità di Thiago.

"Motta a Bologna ha fatto un percorso importante, insieme ai calciatori, ai dirigenti e alla proprietà. Al suo posto arriva un allenatore, Italiano, che assomiglia a Motta nel coraggio. Vincenzo ha il coraggio di giocarsi sempre la partita: di sicuro ‘non si fa giocare’ dalla partita".

E il modulo?

"Ha il suo credo, ma attenzione: non lo mette mai davanti alla squadra. Nel senso che ha l’intelligenza per modellare la sua idea di calcio sul materiale tecnico che il club gli metterà a disposizione".

Zirkzee, Calafiori, i due nuovi acquisti: che Bologna sta nascendo?

"Penso che Zirkzee andrà via, mentre mi piacerebbe che restasse Calafiori: ma l’importante è che nel Bologna restino calciatori motivati. In questo mi fido molto del club e per descrivere il percorso che ha fatto il Bologna di Saputo ricorro alla metafora del contadino: il club ha arato, ha concimato, ha seminato e adesso sta raccogliendo i frutti. Nulla avviene per caso". E’ solo un caso, tornando a Italiano, che sia andato tre volte in finale e per tre volte abbia perso?

"Chi fa questa considerazione mi fa arrabbiare. Dice: se perdi tre finali vuol dire che non hai la mentalità vincente. Ma scusate, il percorso che ti porta a giocarti una finale non è da mentalità vincente? Nel calcio esistono gli episodi e quelli orientano tutti i giudizi: ma non è che ha ragione solo chi vince. Io amo le Olimpiadi proprio per questo: perché festeggia anche chi arriva terzo".

L’Italia di Spalletti invece è stata un pianto greco: anzi svizzero.

"Per una forma di rispetto, anche se ho le mie idee, non giudico il lavoro del cittì. Dico però che, al di là di tutto, nei nostri calciatori è mancato il furore agonistico: e quello prescinde dall’allenatore. Comunque la Svizzera sabato aveva quattro cittì: Yakin in panchina, più Xhaca, Freuler e Aebischer in campo. Quei tre dettavano i ritmi del gioco, decidevano quando accelerare e quando rallentare. Ed è bello sapere che due di quei tre indossano la maglia del Bologna".

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