GIANMARCO MARCHINI
BFC

Riccardo Orsolini: "Che emozione l’azzurro. Il Bologna è casa mia, insieme si può volare"

L’attaccante racconta il ritorno in Nazionale: "Mi hanno chiamato mentre ero a un battesimo, sono partito di corsa. Da brividi San Siro". Rinnovo e futuro: "In rossoblù sono diventato uomo, felice di essere rimasto. L’Europa? Non ha senso parlarne ora, vogliamo divertirci"

Bologna, 18 settembre 2023 – Le radici e le ali. E’ la forza, ma soprattutto il bello di Riccardo Orsolini. Ha imparato a volare con il pallone tra i piedi, restando sempre fedele al ragazzino cresciuto là dove i sogni non vedono l’alba: se vuoi inseguirli, sai che ti aspetta una lunga strada. La ricerca del suo sogno martedì scorso lo ha portato a Milano, in una notte di stelle. In una notte azzurra.

Riccardo Orsolini, 26 anni, stella del Bologna: la scorsa stagione è stata da record per lui con 11 gol in campionato (Schicchi)
Riccardo Orsolini, 26 anni, stella del Bologna: la scorsa stagione è stata da record per lui con 11 gol in campionato (Schicchi)

Orsolini, riavvolgiamo il nastro al minuto 72. Che emozione è stata tornare a giocare per l’Italia?

"Bellissima e anche inaspettata, perché sono stato chiamato in corsa. La Nazionale è sempre un onore, ma tornarci dopo più di due anni e in una cornice come San Siro ha un sapore speciale".

In più, in una gara cruciale…

"Sì, sono entrato in un momento tostissimo. Devo dire che il pallone scottava, l’Ucraina ci stava un po’ schiacciando, non c’erano gli spazi del primo tempo. Non il più semplice dei ritorni, ma va bene così: abbiamo vinto e io c’ero".

Al posto di Politano. Ci racconta com’è andata?

"Ero a un battesimo a Lugo di Romagna (ride, ndr ). Mi squilla il telefono, poco dopo le 13: era il segretario della nazionale. Resto sorpreso, gli dico: ‘Ciao Emi, tutto ok?’. Pensavo avesse sbagliato. Mi dice: ’eh niente, Riccardo, c’è allenamento alle cinque, Spalletti ti aspetta, parti subito’. Ho salutato tutti, parenti e amici, mi sono fatto fare una schiscetta per il viaggio. Sono passato da Bologna a prendere le scarpe e poi via verso Milanello. Ho mangiato mentre guidavo".

Vuole condividere con qualcuno questa rivincita azzurra?

"Sì, arriva dopo l’ultima stagione, la mia migliore in A, a livello anche di numeri: è normale e doveroso un ringraziamento alla società e alla squadra. Ma ho lavorato tanto su me stesso, sui miei limiti: quindi questa soddisfazione la sento anche tanto mia".

Prima di ritrovare la Nazionale, aveva perso la maglia da titolare nel Bologna. Come ha preso quell’esclusione?

"Crescere significa saper prendere le cose nel modo giusto. L’avevo capito un paio di giorni prima in allenamento che non avrei giocato titolare contro il Cagliari, ma sapevo che sarei entrato e avrei potuto incidere. Poi sul rigore ho avuto la sfortuna di beccare quella traversa che ancora trema".

Ndoye, Karlsson, Saelemaekers: certo quest’anno c’è una bella concorrenza…

"Penso sia una scelta mirata del club per tenere alti il livello e la tensione, per aumentare la qualità degli allenamenti. Egoisticamente è chiaro che sia più contento di giocare sempre. Ma uno la zona di comfort se la deve anche creare, dev’essere bravo a reagire se le cose non vanno".

E se vuole andare d’accordo con Thiago.

"Il mister è un martello, sempre sul pezzo, non molla nulla. Vuole le cose fatte a modo suo: è un perfezionista, guarda anche al capello".

Anche il suo rinnovo è stato un po’ un lavoro da perfezionisti: che attesa per i tifosi. C’è stato un momento in cui è stato vicino all’addio?

"Non ho mai pensato di andare via. A fine campionato, dopo la bella stagione fatta, ho pensato che magari qualcuno avrebbe potuto bussare. Non so se questo qualcuno ci sia stato, va chiesto alla società. Io sono felice di essere rimasto: è stata una scelta".

Cosa significa per lei il Bologna?

"Significa fiducia, consacrazione, crescita, tante cose: calcisticamente sono figlio di Bologna, ho trascorso tre quarti della mia carriera qui. Io sono Bologna, letteralmente".

E umanamente che cos’è il Bologna per Orsolini?

"E’ casa. Sono arrivato che ero un ragazzetto, uno sbarbatello. Prima avevo giocato solo nella mia Ascoli, poi, dopo sei mesi difficili a Bergamo, sono arrivato a Bologna, una città nuova. Qui sono diventato uomo, mi hanno aiutato tutti. Io sono un bolognese: ho preso pure la ‘z’".

Se l’aspettava una campagna acquisti così importante?

"Se alla fine del campionato scorso mi avessero detto: ‘guarda vanno via Arnautovic, Schouten, Dominguez, Medel, Soriano’, avrei risposto ‘aspetta un attimo’. Invece i dirigenti mi hanno fatto ricredere, sono stati veramente bravi. Hanno pareggiato se non addirittura alzato il livello rispetto alla rosa dell’anno scorso".

E lei vuole pareggiare o superare la stagione scorsa, quella degli undici gol in campionato?

"Non voglio pormi obiettivi, perché l’anno scorso mi sono detto: come va, va. Quindi continuo così, anche un po’ per scaramanzia. Ecco, spero di essere il più utile possibile alla causa: questo è l’unico obiettivo che posso darmi. Oltre a quello che mi ha chiesto la società dopo la firma: prendermi più responsabilità, far crescere i ragazzi più giovani; anche se non sono così distanti dalla mia età, molti si misurano con la prima stagione in serie A".

Dei nuovi chi l’ha colpito di più fin qui?

"A parte Freuler con me a Bergamo o Saelemaekers affrontato con il Milan, gli altri li conoscevo poco. Però una cosa mi ha impressionato: sono tutti forti e soprattutto tutti pronti".

Sfogliamo l’album dei ricordi dell’Orso calciatore: scelga una foto.

"Difficile sceglierne una sola. Mi vengono in mente il primo gol in A con il Bologna contro l’Udinese, l’esordio in C con l’Ascoli, la prima rete al Del Duca, lo stadio dove sono cresciuto e ho iniziato a sognare il grande calcio".

Tifa ancora per l’Ascoli?

"Sì, ma prima ero un tifoso sfegatato: chiaramente ora ho un approccio filtrato dal mio lavoro. Però appena posso, li seguo".

E a Rotella torna ancora ?

"Certo, ogni volta che posso: Rotella è il mio cuore. Un paesino di novecento anime scarse, per la maggior parte over 80. Tutte e due le mie nonnine vivono lì. Ida e Tina: sono rimaste solo loro, ma ancora tengono botta".

Le radici un po’ la sua fortuna.

"Sì. Se vivi in un paesino così piccolo, appena puoi, esci. Niente cellulari, per fortuna. Pallone sotto braccio, si andava nella piazza principale a giocare fino a sera, sbucciandoci le ginocchia. Pensate che c’è un altro professionista: Ilario Iotti, gioca nella Pro Vercelli. Su novecento abitanti, due calciatori seri: mica male, eh?!".

Che sacrifici si devono fare nascendo in un piccolo paesino?

"Tanti. Ho fatto le superiori ad Ascoli, che dista venticinque chilometri. Tradotto: alle 6.30 prendevo il pullman per andare a scuola, panino nel borsone da calcio: appena finita la lezione, altro pulmino per arrivare al campo".

Da Rotella all’Europa: ne parlate nello spogliatoio?

"Onestamente no. Non ha senso parlarne ora e il mister si arrabbierebbe. Ragiona realmente gara per gara, come dice nelle interviste. E noi lo seguiamo. Vogliamo dimostrare di poter mettere in difficoltà tutti. Chi vuole batterci, deve vendere cara la pelle".

Il suo rapporto con i social?

"Scarso, ci sto pochissimo. Il mio agente spesso mi sgrida: Riccardo, scrivi, posta qualcosa, fai vedere che sei vivo".

Ascolta musica prima di una gara?

"Prima di più, arrivavo allo stadio e giravo con le cuffie come fanno tanti. Ora voglio gustarmi tutti i dettagli, l’ambiente, il brusio dei tifosi, anche la sirena della polizia che ci scorta: tutte sciocchezze che però mi caricano".

La appassionano le serie tv?

"Guardo un po’ tutto, ma preferisco i film: le serie tv sono troppo lunghe e impegnative".

Il film per questo Bologna?

"Mission impossibile (ride di gusto, ndr )".

E quale sarebbe la missione impossibile?

"Partita per partita, come direbbe il mio allenatore".

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