Bologna, 22 novembre 2024 – Juan Miranda e il calcio.
“Il primo ricordo di me bambino è con un pallone tra i piedi. Ma in strada ci sono rimasto poco perché a sei anni ero già nella cantera del Betis”. A diciotto invece ha debuttato da titolare in Champions League con la maglia del Barcellona (1-1 col Tottenham): al Camp Nou, mano nella mano con Messi e Busquets. “Che gran persona è Messi. Le doti del campione le conoscono tutti, ma il modo in cui trattava noi giovani nello spogliatoio era davvero speciale”.
Il Barca è stato un lampo, il Betis invece è e resterà per sempre la sua casa.
“Sono cresciuto in quel club e in quello stadio. I miei idoli? Intanto mio zio, Manolo Pena, il fratello di mio padre Juan Jesus, che la maglia del Betis l’ha indossata. Poi Joaquin, che ha accompagnato la mia infanzia di tifoso. Quindi Rafael Gordillo (ex nazionale spagnolo ed ex Betis e Real Madrid) che ho visto giocare solo nei video che mio padre mi mostrava in casa, per ricordarmi uno dei più grandi del passato”.
E poi un bel giorno il Bologna chiamò: com’è stato il salto dalla Liga alla Serie A?
“La Serie A è un campionato molto fisico, mentre in Spagna si punta di più sulla tattica. La difficoltà principale, all’inizio, è stato capire che cosa voleva da me Vincenzo (nella lunga chiacchierata Italiano lo chiama così): cose molto diverse da quelle a cui ero abituato”.
Tipo?
“Lui vuole che io vada sul fondo e metta in mezzo tanti palloni, che peraltro è la cosa che mi riesce meglio e che ho sempre fatto. Però prima di tutto sono un difensore e devo pensare anche a difendere”.
Qual è il marchio di fabbrica di ‘Vincenzo’?
“Intensità e uno contro uno”.
Ridendo e scherzando in campionato avete vinto le ultime tre partite.
“Ma c’è una spiegazione se è successo solo adesso. In estate è arrivato un allenatore nuovo e tanti ragazzi nuovi: serviva un po’ di tempo, ma stiamo arrivando”.
In Champions, però, fin qui tanti complimenti, ma un solo punto in classifica.
“In Champions la qualità è altissima: sfidi i migliori del mondo. Adesso dobbiamo sfruttare la crescita che stiamo dimostrando sul campo: mercoledì arriva il Lille e per il passaggio del turno l’aritmetica ancora non ci condanna. Per questo dico: proviamoci”.
Se non avesse indossato una maglia da calciatore?
“Probabilmente avrei indossato la divisa della Guardia Civil. Mio padre e i suoi due fratelli indossano quell’uniforme e anche la più piccola delle mie due sorelle, Amalia, sta studiando per entrare nella Guardia Civil”.
Vocazione di famiglia.
“Sì. Mi piacciono i valori a cui quel corpo si ispira, mi piace l’ordine”.
E come tutti gli andalusi è innamorato pazzo del flamenco.
“Il flamenco per noi andalusi è molto più di un ballo: è la nostra cultura. Una delle culture più belle del mondo”.
Dal che si deduce che lei sappia ballare il flamenco.
“Diciamo che mi difendo”.
A due passi da casa sua la Dana il 29 ottobre ha seminato devastazione e morte.
“Olivares, il mio paese, si è salvata: ma attorno è stato un macello. Io l’ho vissuta da qui e quando in tv scorrevano le immagini del disastro mi sono commosso. Ma il popolo spagnolo ha dimostrato ancora una volta di essere un grande popolo: tanta solidarietà, tanti volontari accorsi da tutte le parti del Paese per dare una mano a chi ha perso tutto”.
Italia e Spagna in che cosa si assomigliano?
“Nell’accoglienza: Bologna in questo è stata una piacevolissima sorpresa. La città non è grande, ma è piena di belle persone e mi sono subito sentito a casa”.
Dopo avere conosciuto lasagne e tortellini ha per caso depennato i maccheroni alla carbonara quale suo piatto preferito?
“Beh qui tutta la pasta è buona, non c’è che l’imbarazzo della scelta”.
Due assist nelle ultime due partite: quello per il gol di Orsolini col Lecce e quello per il gol di Karlsson con la Roma.
“Da qui alla fine di assist spero di farne tanti altri e spero anche di segnare. Con la Roma è stato bello mandare in gol Jesper: è un ragazzo che in allenamento lavora tanto, si meritava questa soddisfazione”.
E il Bologna a maggio si meriterà un’altra Europa?
“Non possiamo nasconderci che ripetere la stagione dello scorso anno sarà molto complicato. Ma se sono qui è perché mi ha convinto il progetto ambizioso che in estate mi hanno prospettato i dirigenti. Quindi sì, io sono venuto qui per continuare a giocare in Europa e penso che questa squadra quel traguardo possa centrarlo”.
Due compagni che l’hanno folgorata.
“Ndoye ha qualità impressionanti: doti che da avversario già conoscevo, ma giocargli vicino è un’altra cosa. Poi dico Castro: è un ragazzo che davanti a sé ha un grande futuro”.
E se le facciamo il nome di Lykogiannis, il suo concorrente nel ruolo di terzino sinistro?
“Lyko è un grande, come calciatore e come persona. Quando è stato chiamato in causa ha sempre fatto ottime partite. Ascolto molto i suoi consigli, perché penso che anche da un tuo concorrente puoi imparare tanto”.
Pochi calciatori possono esibire un oro e un argento olimpici come lei.
“Vero, nel calcio non siamo in tanti. So come ci siamo sudati quelle medaglie, so quello che valgono: guai a chi me le tocca”.
Chi è Juan Miranda fuori dal campo?
“Un ragazzo tranquillo, che esce poco. Mi piace stare in casa, specie adesso che ho conosciuto il freddo che fa a Bologna. In casa ho anche allestito una palestra: mi porto il lavoro da Casteldebole. E non mi faccio ossessionare dai social”.
Un sogno vero ce l’ha?
“Un sogno che avevo l’ho realizzato. Sognavo di vincere un trofeo importante col Betis e ho vinto la Copa del Rey”.
Lazio-Bologna è un’occasione da cogliere?
“Per come sta giocando bene la Lazio è una partita difficilissima. Ma se vogliamo essere protagonisti dobbiamo tornare a casa dall’Olimpico con un bel risultato”.
Perché la Spagna in Europa domina?
“Perché abbiamo le cantere migliori del mondo”.
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