Addio a Dalipagic, uno dei più grandi giocatori della Jugoslavia, capace di vincere l’oro ai Giochi di Mosca nel 1980 e rifilare 70 punti alla Virtus, con la maglia della Reyer Venezia. Drazen Dalipagic, detto Praja, aveva 73 anni, era malato da tempo. Ma restava e resta una leggenda dei canestri. Sono mille e più le storie che lo legano all’Italia, alla Nba, a Bologna e pure a Dino Meneghin, con il quale c’era una sorta di scommessa su chi si sarebbe ritirato più tardi. Praja, tiratore micidiale, era nato a Mostar, il 27 novembre 1951. Inizia con la pallamano, poi gioca stopper nel Velez e, il soprannome Praja, se lo porta dietro proprio perché si tratta del giocatore (di calcio) al quale si ispira. Già, perché uno dei più grandi cestisti di tutti i tempi, prende un pallone da basket in mano quando ha già 19 anni. In Italia, per questo motivo, non lo avrebbero nemmeno preso in considerazione. Lui si allena – 600 tiri al giorno, da solo, dopo aver terminato i lavori con i compagni – e diventa un tiratore micidiale.
A Belgrado, dove comincia, quasi per caso, una stagione tiene 49,2 punti di media. Qual è la peculiarità? Stiamo parlando dei primi anni Ottanta: il tiro da tre, almeno in Europa, non esiste. Il 25 gennaio (lo stesso giorno della sua scomparsa) 1987 segna 70 punti alla Virtus Bologna. All’Arsenale, come all’Azteca di Città del Messico, c’è una targa che ricorda l’impresa.
Sandro Gamba, coach della Virtus, teorico della difesa, disperato alterna su di lui quattro marcatori: 40 punti all’intervallo, 70 alla fine con 18/23 da due, 5/9 da tre e 19/19 ai liberi. "Dovevo marcare Villalta – dirà Praja – questo mi ha caricato". Forse voleva vendicare quella volta che a Belgrado, Jimmone Mc Millian, ne segnò 45, su una caviglia (l’altra era gonfia come un melone) limitandolo.
Un fenomeno con i baffoni e le spalle cadenti. Vestito in borghese (sfiora i due metri), come accade a un’altra leggenda dei canestri, Kresimir Cosic, sembra il ’mezzemaniche’ della porta accanto. Con un pallone tra le mani è un artista, un genio assoluto. Per di più amato dai rivali, perché Praja è un fenomeno, ma non lo fa mai pesare. E per questo rimprovererà sempre Drazen Petrovic, genio dei canestri, ma spesso irriverente nei confronti degli avversari.
Nel 1977 è a un passo dai Boston Celtics. Red Auerbach medita il colpaccio, ma lui, Praja, divenuto da poco papà di Davorin, non se la sente di partire. Va a Venezia, sfiora la conquista della Coppa Korac. Si diverte anche se resta l’idiosincrasia nei confronti dei vaporetti quando si deve spostare. Una stagione al Real Madrid, dopo il Partizan e poi le esperienze italiane con Venezia, Udine e Verona. Titoli di capocannoniere a raffica.
Gli manca solo l’approdo alla Virtus. Praja era affascinato dalla V nera e dall’avvocato Porelli, del quale gli aveva parlato il grande amico Kresimir Cosic. "Mi piacerebbe giocare per la Virtus – ripeteva – così potrei vincere lo scudetto". Per Bologna rimane un sogno e un rivale. Ma un avversario da applaudire sempre e comunque. Immarcabile in campo, Praja era un signore, un uomo di grande spessore morale, una volta finite le gare.
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