Bologna, 11 novembre 2024 – “Non rispondo nemmeno a chi chiede le mie dimissioni”. Emily Clancy taglia corto sulle dichiarazioni di Matteo Salvini, che aveva chiesto le dimissioni della vicesindaca a seguito della sua presenza in piazza durante la manifestazione dei collettivi – non autorizzata – in risposta al corteo di Casa Pound e Rete dei patrioti. “Ero in piazza perché la presenza delle istituzioni non è una formalità, ma un dovere democratico”, ribatte Clancy, che poi cita Sandro Pertini e sferza: “Il fascismo non è un opinione, ma un crimine”.
“Come amministrazione abbiamo da subito denunciato i rischi per l’incolumità di Bologna all’interno del comitato provinciale per l’ordino pubblico – prosegue Clancy nel suo intervento in Consiglio comunale –. In quel contesto era stato condiviso che la manifestazione della Rete dei patrioti non si dovesse tenere in piazza XX Settembre, a due passi dalla stazione, ma semmai lontano dal centro storico, cioè in piazza della Pace. Siamo noi che chiediamo ai ministri, che giurano sulla Costituzione, perché organizzazioni che si ispirano al fascismo non siano state sciolte: perché autorizzare una manifestazione così vicino alla stazione, con saluti romani canti fascisti, simboli di odio e di violenza nera? Perché si è scelto scientemente di creare un clima tensione in periodo elettorale? Mi chiedo quale sia stata la reale motivazione. Si vuole fare di Bologna un caso a una settimana dal voto”.
Il dibattito in Consiglio comunale, alla fine, è stato monopolizzato dalla giornata ad alta tensione di sabato. Sia dalla maggioranza, che dall’opposizione, non sono mancati gli interventi per entrare nel merito della gestione dei cortei e delle responsabilità politiche al riguardo. In prima linea, così come accaduto a volte durante gli scontri, il consigliere di ‘lotta’ Detjon Begaj (Coalizione civica): “Alle richieste di dimettermi per aver partecipato alle manifestazioni antifasciste rispondo che no, non mi dimetterò – puntualizza lui –. Lì bisognava essere, lì eravamo anche noi, lì c’ero anche io. Qualcuno ha montato un disegno di carattere eversivo, teso a minare la tenuta di Bologna. Quel qualcuno, chi ha deciso tutto questo, deve assumersi le proprie responsabilità, perché sono gravi”. “Chi è venuto qui a manifestare non si riconosce in un ideale, ma in un reato – attacca Michele Campaniello, capogruppo del Pd in Comune –. Si è accettato di autorizzare la manifestazione a due passi dalla stazione e dalla sede della Cgil, che da parte di Casa Pound ha subito in passato un assalto: non riesco a comprendere le ragioni di questura e prefettura di lasciare in quella piazza l’evento”. Duro attacco anche da parte del dem Claudio Mazzanti.
Non sono mancate le risposte dal centrodestra. “Lepore chiede a Meloni di venire a spiegare cosa è successo – sostiene Stefano Cavedagna (Fratelli d’Italia) –. Dovrebbe essere lui, invece, a spiegare i legami politici evidenti che ci sono con chi si permette di attaccare le forze dell’ordine. È possibile che ci sono membri della maggioranza che, ogni volta che la polizia viene caricata, sono presenti?”.
“In questa fase in cui l’amministrazione è in forte difficoltà, perché le ha sbagliate tutte, fa comodo polarizzare lo scontro per distogliere l’attenzione dai reali problemi di Bologna”, fa eco il collega meloniano Francesco Sassone, candidato alle Regionali. Per l’altro candidato Giulio Venturi (Lega) “il Pd, invece di affrontare i problemi reali della regione, usa l’antifascismo e la libertà di espressione come cortina di fumo”, mentre Matteo Di Benedetto, leghista a sua volta candidato in Regione, “è inaccettabile che si continui a tenere la parte dei manifestanti che hanno caricato la polizia”. Dubbi anche da parte di Gian Marco De Biase (Al centro Bologna): “Non condivido per nulla l’ideologia di Casa Pound e Rete dei patrioti, movimenti di estrema destra, ma perché il sindaco non ha detto una parola sulla contromanifestazione? Da quello che risulta, infatti, solo il corteo antifascista ha creato i disordini usando metodi fascisti”.