CLAUDIO CUMANI
Bologna

Bologna, MAMbo diventa una chiesa con Boltanski, tra benessere e sofferenza

Dal 26 giugno al 12 luglio la mostra 'Anime. Di luogo in luogo', antologica dell'artista

Christian Boltanski

Bologna, 24 giugno 2017 - Quando Christian Boltanski è entrato per la prima volta a MAMbo ha pensato subito ad una chiesa, ovvero a un luogo dove interrogarsi su stessi, sulla vita, sull’età che avanza. Ma anche a uno spazio dove evocare in modo non calligrafico il patrimonio della memoria, dove ritrovare le ferite e le tragedie di una città. Dunque, un ingresso, una navata centrale, e due laterali in grado di ospitare, secondo un disegno espositivo assolutamente nuovo, 25 opere significative (tra installazioni e video) realizzate nel corso degli ultimi 30 anni dall’artista.

Si apre lunedì (anteprima domenica a partire dalle 19.30) e prosegue fino al 12 novembre Anime. Di luogo in luogo, la mostra antologica (FOTO) curata da Danilo Eccher dell’artista francese a cui, come si sa, il Comune ha deciso di dedicare un articolatissimo progetto che prende appunto il via in questa occasione.

C’era anche Boltanski ieri mattina a MAMbo per raccontare del suo lungo sodalizio con Bologna (la mostra di 20 anni fa a Villa delle Rose e soprattutto l’installazione sui resti del D9 al museo della memoria di Ustica) e delle tappe dell’omaggio a lui dedicato: lunedì alle 11 viene presentata in anteprima nell’ex polveriera bunker della Lunetta Gamberini l’installazione Réserve mentre alle 19 nel cortile d’Ercole di Palazzo Poggi Boltanski dialogherà con Eccher. Martedì, a partire dalle 21.30, l’Arena del Sole ospiterà invece (proprio nel giorno dell’anniversario della strage di Ustica) l’installazione-performance Ultima che lo stesso artista definisce un’opera work in progress incentrata sui concetti di spazio e tempo (repliche fino al 30). È annunciato invece a settembre Take Me (I’m Yours), l’esperimento di arte popolare curato dallo stesso Boltanski e da Eccher che trasformerà l’ex parcheggio Giuriolo in un contesto aperto ai giovani creativi dove i visitatori potranno a loro piacimento portarsi a casa le opere preferite. Un’operazione già testata a Londra, Parigi e New York.

Si entra dunque in una sala di specchi neri sulla quale forte si spande il battito cardiaco dell’artista (a proposito, le registrazioni dei ritmi del cuore dei bolognesi raccolti da Boltanski un paio di anni fa sono archiviate nell’isola giapponese di Thesima) mentre il suo volto, proiettato su una tenda, si modifica fotogramma dopo fotogramma nel passaggio dall’età infantile a quella matura. Eppoi si procede in mezzo a una serie di velari, sipari, quinte a svelare o celare le opere: ci sono occhi e volti anonimi in un gioco di penombra e trasparenza. Al centro della navata centrale l’imponente installazione Volver, una montagna apparentemente d’oro che ben presto si scopre essere composta dalle coperte termiche che avvolgono i migranti: insomma, ancora una volta un cortocircuito fra benessere e sofferenza. «Ognuno può vederci quello che vuole – dice Boltanski – ma io in quella montagna scorgo le tragedie di Bologna ma anche la luce che da quelle macerie appare».

Nelle navate laterali immagini fotografiche («gente che mi ha accompagnato e che forse non ho mai conosciuto») poste su scatole di latta e illuminate da lampadine elettriche. E ancora neon, volti sfocati, ombre, tante ombre. In fondo, davanti a un prato di fieno e di fiori, le immagini in video di centinaia di pali metallici a cui sono attaccati campanelli. Un luogo bianco, calmo, che forse allude alla morte. Forse, perché, dice Boltanski, un’opera va sentita e non spiegata.