GIAN ALDO TRAVERSI
Bologna

Bologna Jazz Festival, il piano di Mehldau in scena al Comunale

Martedì alle 21.15 il concerto

Brad Mehldau al pianoforte (Foto Ansa)

Bologna, 23 novembre 2015 - Il jazz non può morire, anche quando diviene routine alta, costellata d’imprevisti, specie se funziona l’interplay con l’intellettualesimo un po’ lunatico, ma vigoroso di artisti come Brad Mehldau, figura centrale delle nuove sonorità afro-europeo- americane. Colte, aspre: magie che si ritrovano solo nei disegni di Escher. E’ lui, uno dei più avventurosi pianisti del secolo, la più disarmante risposta ai quesiti che oggi si pongono autori come Wolfgang Flur e John Fahey: “Is the Jazz dead”? Appuntamento in cui il genio di Jacksonville scaverà note al centro della tastiera, dosando pause e impennate, tra crescendi ipnotici articolati attorno al contrabbasso di Larry Grenadier e alla batteria di Jeff Ballard, un trio di tecnica limpida e puntigliosa, domani alle 21.15 sul palco del Teatro Comunale per la decima edizione del Bologna Jazz Festival dedicato a Massimo Mutti.

Eredità eccitante (e gravosa) raccolta dal figlio Federico, con la supervisione artistica di Francesco Bettini e il coordinamento di Tiziano Barbieri. Una risposta richiesta dal mercato dell’arte. E’ la musica di matrice afro-americana, pur corroborata da intarsi europei che così torna in pompa magna nella

sala Bibbiena (dopo l’altro concerto griffato BJF del duo Feldman-Courvasier di dieci giorni fa nel foyer Respighi). Ponte che nella metafora estrema unisce la fine del ciclo storico della kermesse (1975) agli ultimi due grandi concerti jazz ospitati sullo stesso palco della Doctor Dixie Jazz Band di Nardo Giardina che nel ‘98 registrò il cd Concerto di Natale con Lucio Dalla ed Henghel Gualdi e l’anno successivo replicò con Raul Grassilli e lo stesso Gualdi.

Accostato a Bill Evans, dal quale ha ereditato la capacità armonica e introspettiva, a Keith Jarret («ma i suoi lavori solisti - ha sempre precisato - sono per me più fonte d’ispirazione che influenza») e perfino a Chopin per quel sentirsi tutt’uno con il pianoforte, Mehldau per la terza volta irrompe col suo trio al Bjf dopo esservi stato nel 2007 all’Auditorium Manzoni e nel 2009 al Teatro delle Celebrazioni. In un connubio realizzato con l’inventiva del grande solista - è il piano solo o il trio, il vero luogo dell’arte di Brad Mehldau-, tra rock, classica e jazz.

E’ così che s’avvicina a Pat Metheny, conosciuto quando lavorava con Joshua Redman, memore della lezione di Charlie Haden e Lee Konitz, ma anche di Wayne Shorter, John Scofield e Charles Lloyd. Ci sono anche altri interrogativi che Brad risolve attraverso un pianismo che ha saputo ripensare, indifferentemente, alla lezione brahmsiana e davisiana, come a quella dei Beatles (Blackbird di Paul McCartney) e dei Radiohead, in un connubio realizzato con l’inventiva del grande solista.

Improvvisazioni che si riflettono in dimensioni ampie, in un’aura sonora allucinata, catartica: la musica intesa come centro di potere metafisico, che sa bene interpretare stati d’animo contrastanti. Infine, un’ultima chicca per il popolo dei mehldauiani: un mese fa è uscito un prezioso cofanetto con otto lp,10 Years Solo live, pubblicato da Nonesuch Records. Che è la summa di un decennio di registrazioni live di concerti europei suddiviso in quattro tematiche. Entità dissezionate in un sottile gioco di rimandi, troppo delicate, nell’idea di Mehldau, per non dedicar loro pulizia del suono e movenze circospette. Alternate ad altre follemente travolgenti.