Bologna, 4 dicembre 2016 - “Un bel pizzo, un ricamo perfetto, una sorpresa continua che attraverso tanti tasselli arriva all’esplosione finale: il trionfo dell’amore». Questa era la pucciniana Fanciulla del West, secondo Gigliola Frazzoni, e questa era lei sulla scena, fra i tormenti e le passioni delle eroine del melodramma. Il grande soprano bolognese è morta la scorsa notte – era nata il 22 febbraio del 1923, i funerali martedì alle 11 nella chiesa di Altedo – e riandando all’opera di Puccini composta nel 1910 e ambientata nell’America dei saloon, Stefano Montaguti, il nipote che è stato particolarmente vicino alla cantante e ne custodisce le memorie, osserva: «La Fanciulla fu la sua opera assoluta, nel mondo della lirica la chiamavano proprio così, La fanciulla del West”.
Come avvenne l’incontro con questa partitura?
“Credo che gliel’abbia suggerita il maestro Antonicelli, sovrintendente a Trieste. Puccini era uno dei suoi preferiti, anche nella Butterfly. Così nel 1955 portò l’opera per la prima volta al Verdi di Trieste: 18 repliche, un trionfo, che si ripetè a Lucca per il centenario pucciniano. Lei e Minnie, la dolce e combattiva fanciulla innamorata di un bandito, divennero una persona sola”.
Quali sono i primi ricordi che ha di sua zia?
“Uno bellissimo tra i tanti. Era senza figli, e forse anche per questo mi portava con sé durante le tournée. Mi rivedo a sette, otto anni, dietro le quinte della Scala, in braccio a due mostri sacri come Corelli o Del Monaco”.
Qualcuno ha scritto che Gigliola fu penalizzata dal fatto di essere vissuta nella stessa epoca di un formidabile trio, Scotto-Callas-Tebaldi...
Non è esatto, anche perchè mia zia seppe sempre mantenere buoni rapporti di amicizia. Nel ‘55 fu chiamata alla Scala per sostituire la Callas in Andrea Chénier. I giornali parlarono di lei come ‘la nuova Callas’, ma la cosa non la turbò. Semmai furono altre le cause che ne limitarono le possibilità”.
Quali?
“Aspetti umani, che per lei contavano moltissimo. Non volle lasciare mai Bologna, a Roma o a Milano avrebbe avuto più occasioni. Ma qui c’erano il marito, la casa dove si era stabilita provenendo da Altedo, e poco distante c’era Zola Predosa, dove visse. Al Duse fu Mimì nel 1948, un anno dopo il debutto assoluto a Pesaro con la Francesca da Rimini. E vuole sapere com’era fatta mia zia? Fu invitata più volte dal Metropolitan, ma rifiutò sempre per la paura dell’aereo. Preferì esibirsi in Europa”.
Com’era giunta alla lirica?
“Qualcuno la sentì cantare nel cortile di casa, accompagnando un concertino dove suo padre falegname suonava la chitarra. Aveva una voce impostata per natura, e fu mandata a studiare privatamente. Vinse un concorso locale e per premio andò sei mesi in Sudafrica ad assaggiare il palcoscenico. In lei c’era la quintessenza del soprano drammatico, capace di unire il timbro scuro alla forza interpretativa. L’ultima sua esibizione fu nel ‘79, all’Arena di Verona, nella Cavalleria rusticana. Smise orgogliasamente quando ancora la voce funzionava”.
Lascia una quantità enorme di documenti...
“Non solo quelli. Nel 2014 donò a Genus Bononiae, che li espose a Palazzo Saraceni, i suoi costumi, 12, fra cui tre della Fanciulla e numerosi oggetti di scena. Tutti i documenti della cui conservazione mi sono occupato io confluiranno nella nuova Fondazione Gigliola Frazzoni, con l’impegno di indire una volta l’anno un concorso per giovani voci di soprano”.
Che dovranno essere all’altezza. Perché Gigliola-Minnie confessava di sentire fisicamente gli odori dei cavalli e del saloon nel suo vecchio west.