REDAZIONE BOLOGNA

Prezzo del pane a Bologna, il fornaio spiega perché aumenta

Samuel Mafaro, presidente dei panificatori: "Dall'energia alle materie prime, tutte le spese sono aumentate. Costo del burro raddoppiato, farine al 30-40 per cento in più"

Bologna, 28 ottobre 2022 - Il 16 ottobre è stata la giornata mondiale del pane, diventato un vero e proprio simbolo che racconta la storia dell’Italia grazie alle sue 250 tipologie. In questo anno di crisi economica dovuta al conflitto in Ucraina, i prezzi sono cresciuti vertiginosamente, con le farine di grano tenero che arrivano a segnare un +51% rispetto ai costi dell’anno scorso. Anche la nostra città non è esente dai rincari, spesso denunciati dai fornai come Oberdan, del Molino Urbano, che negli scorsi giorni - affiancato dall’associazione di protesta contro il caro bollette Noi non paghiamo - ha protestato contro i rincari e le speculazioni sul prezzo della farina. Samuel Mafaro, presidente dell’associazione panificatori e proprietario del forno di Porta Lame, ci spiega le motivazioni del rialzo dei prezzi.

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Samuel Mafaro, presidente dell’associazione panificatori
Samuel Mafaro, presidente dell’associazione panificatori

A cosa è dovuta la situazione che si presenta oggi?

“L’aumento del prezzo del pane è in relazione a tutte le spese che sono aumentate. Abbiamo dovuto aumentare il prezzo dei nostri prodotti, ma non andiamo a coprire le spese che abbiamo, se avessimo dovuto aumentare il pane per quelli che sono stati gli aumenti nelle nostre attività, venderemmo la merce a cifre folli”.  

Perché fra il grano e la farina c’è un gap di prezzi così alto?

“Noi non trattiamo grano. La gente commette un errore di valutazione paragonando grano e farina, perché dal chicco di grano al pane venduto dal fornaio ci sono tredici passaggi".

Ma di quanto sono aumentate le materie prime dallo scoppio della guerra?

"Il burro è aumentato esattamente del doppio, mentre le farine del 30-40 per cento: Un esempio pratico è la farina di semola, passata da 70 centesimi a un euro e quaranta. La soluzione è non fare più pane di semola, anche per una questione di principio”.

C’è una differenza di prezzo fra il pane di Bologna e il pane che si vende in altre città o in provincia, come mai?

“E’ impossibile mettere a paragone i prezzi per una serie di motivi: il pane va in base alla struttura aziendale che ha il panificatore: se uno ha dei macchinari che lavorano h24 riesce ad avere un prezzo, chi lo fa a mano e non ha l’attrezzatura che gli consente di avere una manodopera ha un altro prezzo, è come la differenza fra un’industria e un artigiano. C’è chi riesce a farti il pane a un euro al kg, il fornaio con 2 euro al kg a momenti ci paga la farina. E poi la differenza sta nelle materie prime che si usano, dal costo dei dipendenti. Non bisogna paragonare una città a un’altra. A Napoli hanno dei costi, a Bologna altri. Uno che paga l’affitto in centro a Bologna è diverso rispetto a uno che lo paga a Frosinone, è tutto il contesto che fa il prezzo del pane”.

E’ possibile spendere meno?

“Non si può spendere meno, si può mangiare meglio. E’ ovvio che se compri il pane che fanno in Romania paghi meno, ma vai a rimpinguare le tasche di chi? Se compri il pane dal fornaio ci sono anche più possibilità lavorative, perché se il fornaio viene finanziato può assumere. Noi siamo dei creatori di manodopera. In ogni caso, il prezzo del pane, se accostato al consumo medio in Italia che è di quaranta grammi a testa, non è un costo insostenibile. Intimorisce vedere il prezzo che sale, ma la gente che compra dal fornaio sa. Chi non viene per partito preso si spaventa dei prezzi, poi va al supermercato, spende due euro in meno ma mangia peggio”.

Il fornaio del Molino Urbano ha messo in atto una protesta in cui regala il pane piuttosto che pagare le bollette. E’ d’accordo con il suo gesto?

“Lui ha tutte le ragioni del mondo, ma non può dire che le associazioni non fanno niente. Ci stiamo muovendo con indagini, con delle cause con un ente bilaterale per avere la cassa integrazione, per il reddito di imposta. Insomma, ci stiamo muovendo”.

Proprio lui denunciava il rincaro delle farine, dicendo che non si spiegava perché delle farine che vengono dal sud Italia abbiano dei costi triplicati dopo la guerra. Lei cosa ne pensa?

“Il 75% di farine che arrivano dal sud Italia vengono usate dall’industria. Dall’Ucraina importavamo il 4%, in Italia si usa il grano francese, canadese e italiano. La questione è certamente speculativa quanto le bollette ed è in mano ai mercati finanziari. Purtroppo funziona così, o togliamo le materie prime dalle borse - ma chi siamo noi per dirlo -, oppure ci adeguiamo ai sali scendi del mercato. Quel che è certo è che né i mulini, né i contadini né i fornai hanno lucrato”.