Bologna, 21 giugno 2023 - Sono passati quasi trent'anni, eppure è tornato a scavare nella vita di Edgardo Mortara. Dopo il volume del 1997 che ha ispirato il film di Marco Bellocchio Rapito, Daniele Scalise racconta nuovamente la storia del ragazzino ebreo sottratto ai genitori nella Bologna del 1858 affidandosi alla forma del romanzo, Un posto sotto questo cielo (Longanesi). Presenterà questo viaggio nell’interiorità dei protagonisti della vicenda oggi (alle 19) nel chiostro del convento Santa Margherita per la rassegna di Coop Ambasciatori. A confrontare i testi assieme a lui ci sarà Elèna Mortara, docente di Letteratura Angloamericana all’Università di Roma Tor Vergata e autrice del libro Writing for Justice, vincitore dell’American Studies Network Book Prize nel 2016, dedicato a uno scrittore di teatro cattolico, esule in Francia, che ha portato in scena il caso, supportando la battaglia della famiglia nel contesto internazionale dell’epoca. “E' un piacere essere a Bologna – esordisce la discendente di Edgardo - dove è avvenuto il fatto e dove l’Archiginnasio ha creato un sito straordinario di approfondimento sul tema. Scalise ha il grandissimo merito, già con il suo studio precedente, di avere fatto conoscere fra i primi, da un punto di vista storico-scientifico, il caso Mortara e il suo contesto. E di avere ispirato il film di Bellocchio”.
Professoressa Mortara, questa storia come ha segnato la sua vita?
“Conosco la vicenda fin da bambina, se ne parlava nelle riunioni familiari, specie nelle festività ebraiche in cui si incontrano più membri della famiglia. Sono discendente di una delle sorelle di Edgardo, Ernesta, che aveva 12 anni al tempo del sequestro e mio padre, nato all’inizio del Novecento, ha incontrato Edgardo più volte, è andato anche a trovarlo in Belgio. Dopo vent’anni di totale separazione, infatti, negli anni successivi alla morte di Pio IX erano ripresi rapporti affettivi e frequentazioni. Eravamo consapevoli che questa fosse non solo una vicenda familiare, ma che si intrecciava con la Storia. Attraverso lo scandalo che si è creato, si è scoperta la condizione di sottomissione degli ebrei a leggi disumane: il ghetto di Roma finì con il potere temporale di Pio IX. Mi interessa sottolineare la reazione che ci fu nel mondo, anche cattolico e liberale, fino al Nord America. Grazie agli studi di Scalise, di Kertzer e Gemma Volli, e al film di Bellocchio, questa vicenda sta riemergendo nella memoria e nella coscienza nazionale”.
Nel film e nel libro di Scalise, che ha letto i diari di Edgardo, emergono le sue inquietudini. Che racconto le è stato fatto?
“So che, quando veniva a visitare la famiglia in Italia, le mamme avevano paura di fargli vedere i bambini piccoli temendo azioni inconsulte e che la mia bisnonna Ernesta in punto di morte urlò che le stavano portando via i bambini: a lei e ai fratelli la vicenda aveva lasciato traumi fortissimi”.
Lei ha incontrato Bellocchio, cosa che ha anche portato al cambio del titolo del film, inizialmente La Conversione.
“L’ho incontrato più volte nella fase iniziale, si è creato un rapporto molto bello e sono felice che abbia scelto questo titolo che chiarisce quanto avvenuto. È un film potente, che riesce a far entrare nel dramma della famiglia e a fornire la ricostruzione dell’educazione, molto dogmatica, che ancora ai tempi del regista veniva fornita ai bambini. Sono grata a Bellocchio e mi ha fatto piacere vedere che pubblicazioni come l’Osservatore Romano e Famiglia Cristiana hanno reagito positivamente. Altre parti, minoritarie, del mondo cattolico purtroppo non sembrano avere ancora recepito la lezione del Concilio Vaticano II. Inoltre, ci sono residui di vecchie concezioni che hanno dei riflessi nella normativa del Codice canonico”.
Quali?
“Nel codice 868, comma 2, si rende ancora lecito il battesimo in caso di pericolo di morte di un bambino, anche contro la volontà dei genitori, sia cattolici che no. Mi sembra un residuo contrario all’idea di fratellanza universale, presente nell’Enciclica ‘Fratelli tutti’ di Papa Francesco del 2020”.
David Kertzer, il cui volume aveva ispirato Steven Spielberg, sostiene che il regista americano non abbia davvero abbandonato il suo film.
“Credo che il discorso non sia del tutto chiuso, c’è già una sceneggiatura pronta. Mi auguro che Spielberg vada avanti per completare il quadro e, con la sua sensibilità, approfondire l’aspetto della lotta per l’emancipazione ebraica in ambito internazionale, su cui vi sono solo brevi riferimenti nel bel film di Bellocchio”.