CLAUDIO CUMANI
Cultura e spettacoli

L’Amarcord di Guccini: "Scrivo di piccole cose. Sono quelle a fare la Storia"

Il Maestrone racconta il suo nuovo libro: cinque racconti tra il 1952 e il 1962. "Non ho nostalgia ma mi piace affidarmi alla memoria. Di amici, ragazze, balere"

Francesco Guccini

Francesco Guccini

Roma, 12 ottobre 2024 – Guccini, sa che qualcuno ha paragonato il suo nuovo libro a una sorta di Spoon River in prosa?

Il Maestrone, nella sua casa di Pavana percossa dal vento, ride: "Mah, l’antologia di Edgard Lee Masters è molto americana e io sono molto modenese. Forse c’è qualche riferimento involontario ma qui ho voluto riunire soltanto ricordi della mia vita". È vero, Così eravamo (edito da Giunti) raccoglie sul filo della memoria cinque racconti ambientati fra il 1952 e il 1962 che il sottotitolo (Giornalisti, orchestrali, ragazze allegre e altri persi per strada) illustra perfettamente. È il decennio che per Francesco va dai 12 ai 22 anni, è il tempo della ricostruzione e della speranza ma anche della miseria e della fatica. C’è il ricordo di un vecchio compagno di scuola morto anzitempo (Colombini, perché allora in aula ci si chiamava solo per cognome) e dell’esperienza giornalistica in una redazione di provincia, di una stolta gara erotica e delle balere. E infine si parla di un posacenere rosso donato, durante la leva, al sottotenente Guccini da una giovane barista veneta conosciuta in un pomeriggio qualunque. "Soltanto il primo e l’ultimo racconto sono autobiografici – precisa lui –. Gli altri sono invenzioni nate da esperienze vissute".

Guccini, così eravamo. E adesso come siamo?

"Nel ‘52 la guerra era finita da poco e tutti ne portavano le conseguenze. Possedere un frigo rappresentava un sogno americano, avere un’auto era una roba da ricconi. C’erano molta ignoranza e molta ottusità ma una grande voglia di ricominciare. Adesso stiamo meglio perché possediamo più strumenti. Non ho nostalgia. Mi piace affidarmi alla memoria perché sono le piccole storie a costruire la Storia". Una piccola storia è quella del posacenere rosso, che assume quasi il sapore di una “madeleine“.

Lo conserva ancora?

"L’ho tenuto a lungo anche dopo il servizio militare per ricordarmi di quella breve chiacchierata con una ragazza che non ho mai più visto. Campeggiava sul tavolo quando a Bologna abitavo alle Mura di Porta Galliera. Poi, col trasloco, in via Paolo Fabbri è sparito. È una scusa per dire di certi oggetti sono una parte importante della vita e che, quando spariscono, ci restano attaccati a nostra insaputa".

La figura di Colombini, che a 12 anni muore non si sa perché e che non vedrà il mondo nuovo, la riporta al passato più lontano?

"Ho trovato una foto della classe e l’ho rivisto. Non me lo ricordavo bene. Eravamo tutti ragazzi con le braghe a mezza gamba in ogni stagione. Le scuole medie allora rappresentavano una selezione sociale molto dura, lì si capiva chi sarebbe andato avanti nella vita. Ho tanti ricordi dell’infanzia: la questua per gli alluvionati del Polesine, le settimane Incom al cinema, il forno dei genitori di Pavarotti dove mia madre a Natale andava a cuocere le lasagne...".

A Modena è stato anche giornalista. Che esperienza è stata?

"Ho lavorato per due anni alla Gazzetta dell’Emilia dal pomeriggio alle 6 del mattino, 7 giorni su 7. Guadagnavo 20mila lire al mese. Avevo 19 anni e scrivevo di tutto, soprattutto cronaca. Me ne sono andato il mese in cui, avendo fatto due settimane di ferie, aveva trovato in busta solo 10mila lire".

Quando ha cominciato a suonare?

"Come tutti i ragazzi di allora amavo il rock’n’roll e pensavo che con la musica fosse più facile abbordare le ragazze. Mi feci costruire la prima chitarra da un falegname di Porretta, Celestino Venturi, per cinquemila lire. Con gli amici pensavamo a una band ma eravamo solo velleitari".

Poi vennero le balere...

"Come cliente non ne sono mai stato un grande frequentatore. Non era il mio ambiente, magari in montagna, dove la gente era più alla mano... Ho vissuto invece la balera sul palco, da orchestrale. Ho suonato dal ‘59 al ‘62 fin quando sono andato militare. Non faceva per me. Il cantautore è un altro mestiere".

Cosa pensa della musica di oggi? Guarda X Factor?

"No, non sono informato, in tv vedo altre cose. E poi spesso siamo fuori a cena con mia moglie e gli amici, qui in Appennino. Adesso è arrivato finalmente il tartufo".