Bologna, 2 gennaio 2025 – È una storia di ‘accordi e disaccordi’ quella che, da domani a domenica, salirà sul palco del Dehon (alle 21, dopodomani alle 16). Protagonisti l’attrice e conduttrice televisiva Rocío Muñoz Morales, nei panni di Mira, e l’attore Pietro Longhi, in quelli di Joseph. Lei è una giovane donna, vivace, eccentrica, con una passione per il rap; lui, uno scrittore solitario che ascolta Mozart, Bach, gli Stones e Janis Joplin. Il cappotto di Janis, di Alain Teulié con la regia di Enrico Maria Lamanna, racconta l’incontro tra due persone semplici dalla vita travagliata, di quelli che, nonostante diversità e divergenze, riescono a danzare assieme, a volte sgraziatamente, sul palcoscenico del mondo.
Rocío Munoz Morales, in che modo si intrecciano le storie dei due protagonisti, personaggi così diversi? "Mira entra nella vita di Joseph per assisterlo, prendersi cura di lui, un uomo chiuso, amareggiato, che ha poca voglia di confrontarsi con il mondo. La sua ottusità cela una grande sofferenza, è rimasto vittima di un incidente che lo costringe all’uso della sedia a rotelle. È proprio il dolore il punto di contatto tra i due, entrambi hanno sofferto molto e mettendosi a nudo riusciranno ad abbassare scudi e maschere, a essere semplicemente loro stessi".
È questo il messaggio che veicola lo spettacolo? "Non solo, si parla di accettazione, diversità, altruismo. Dalla diversità a volte nascono legami di amore nella forma più pura che esista. Essere diversi non significa necessariamente essere lontani".
E lei si sente vicina al suo personaggio, Mira? "Siamo diametralmente opposte. In comune abbiamo la schiettezza: anche io non amo tenermi le cose dentro ma, a differenza sua, cerco di esprimermi sempre con dolcezza. Penso che solo così si possa arrivare a dire tutto".
Anche a lei è successo lei, come a Mira, che un incontro le abbia cambiato la vita? "Più di uno: l’incontro con il mio compagno (Raoul Bova, ndr), per esempio; in età più adulta anche l’incontro con mio padre. L’ho riscoperto, non solo come genitore, ma anche come uomo".
Nel suo percorso professionale? "Carlo Conti ha creduto in me quando c’erano pregiudizi nei miei confronti. Ha seguito il suo istinto e a 25 anni mi ha dato la possibilità di condurre Sanremo, ero in Italia da un anno e mezzo e parlavo pochissimo la lingua. Ma è stata un’esperienza importantissima, sono riuscita a far conoscere al pubblico la Rocío ‘vera’".
Cosa intende con ‘Rocío vera’? "Non ho sovrastrutture, sono una personale molto naturale, positiva e spontanea. Ci tengo ad essere gentile, ma senza forzature".
Come ha lavorato con Longhi? "Il testo di Teulié e il personaggi di Mira mi sono piaciuti subito, cercavo da due anni uno spettacolo che mi convincesse. Per quanto riguarda Pietro, mi ha colpito prima come essere umano: è un uomo d’altri tempi, non ne esistono più così. Ha rispetto per chi lavora con lui e solca i palcoscenici da 50 anni. È come se, in un certo senso, sia riuscita a nutrirmi della sua esperienza".