Bologna, 10 giugno 2023 – Un sistema di intelligenza artificiale capace di suggerire con alta precisione la presenza di nuovi siti archeologici nella pianura alluvionale della Mesopotamia meridionale, utilizzata come caso di studio. È il modello nato da una collaborazione tra informatici e archeologi dell'Università di Bologna. Presentato in Open Access sulla rivista ‘Scientific Reports’ del gruppo Nature, il sistema è stato messo a punto a partire dall'esame automatico di foto satellitari della pianura mesopotamica: i risultati mostrano che è in grado di fare previsioni corrette sulla presenza di potenziali siti di interesse archeologico con un'accuratezza dell'80%.
"Oggi il dibattito sull'Ai si concentra spesso sul rischio che queste tecnologie possano sostituire l'uomo anche in professioni che richiedono un alto contenuto di competenze specifiche, ma questo studio ha dimostrato che esiste un'altra prospettiva con cui guardare al problema - dichiara Marco Roccetti, professore al dipartimento di Informatica-Scienza e Ingegneria dell'Unibo che ha coordinato la ricerca insieme all'archeologo Nicolò Marchetti -. In ambito archeologico, infatti, non solo oggi questo rischio non si pone, ma anzi il raggiungimento di alti livelli di accuratezza nell'individuazione automatica di siti archeologici è possibile solo se si instaura un meccanismo di collaborazione tra algoritmi di Ai ed expertise umana".
Per superare questi ostacoli, gli studiosi dell'Università di Bologna hanno quindi sviluppato una procedura collaborativa che connette il lavoro dell'intelligenza artificiale con quello degli archeologi. Il punto di partenza è stato un webGIS (cioè i sistemi informativi geografici pubblicati su web) dove – grazie ai progetti di ricerca Eduu prima e Kalam adesso – erano stati raccolti e geo-riferiti i dati di 16 precedenti ricognizioni archeologiche di superficie con quasi 5.000 siti tracciati e verificati. Il sistema prevede che le indicazioni prodotte dal modello di Ai analizzando le foto satellitari vengono corrette e annotate da studiosi esperti (in questo caso la dottoranda Valentina Orrù) e sottoposte nuovamente all'intelligenza artificiale, in un processo di apprendimento progressivo, che è stato supervisionato dal giovane ricercatore Luca Casini. In questo modo è stato possibile raggiungere livelli di accuratezza vicini all'80% nell'individuazione di potenziali siti archeologici nascosti. "La metodologia che abbiamo messo a punto segue dunque uno schema che nella letteratura è noto come human-in-the-loop method, ma che in realtà raramente trova applicazione in casi significativi, e sicuramente non era mai stato utilizzato nel campo dell'archeologia - spiega Roccetti -. I numerosi esperimenti che abbiamo realizzato hanno dimostrato che il sistema nel suo complesso può senza dubbio velocizzare la fase esplorativa del terreno: un processo che oggi è condotto dagli archeologi in modo interamente manuale, con grande dispendio di tempo ed energie". Questi promettenti risultati sono stati ottenuti utilizzando modelli e software open source, e attraverso dati e informazioni disponibili liberamente (dalle immagini Corona degli anni Sessanta fino a Bing Maps): si tratta quindi di un modello adattabile e replicabile per altri contesti di ricerca archeologica.