Bologna, 28 novembre 2024 – In una notte nell’inverno dell’Alaska, c’è una luce dentro una tenda, prima che inizi la danza dell’aurora boreale. Ma dal bianco delle neve affiora anche un profilo, quello di San Luca. E le distanze si annullano. È andato lontanissimo Cesare Cremonini, ma per tornare vicino, a casa. Un viaggio fisico, nei luoghi simbolo della musica americana, e di progressivo avvicinamento a se stessi là dove – al Circolo polare artico – i pensieri si fanno sempre più distillati. Un senso di “rinascita” che è poi diventato un album, Alaska baby, in uscita domani.
Anticipato il mese scorso dal singolo Ora che non ho più te – dove si fondono metriche emiliane e sonorità contemporanee – cuore del disco è sicuramente la sesta traccia, San Luca, il prossimo singolo in uscita, in cui la voce del cantautore si intreccia con quella di un altro Luca. Non è il primo duetto fra i due cantastorie della nostra città, ma dopo il silenzio durato due anni di Carboni, anche questo brano risuona come una rinascita. E una carezza.
Cesare, un viaggio lunghissimo per tornare a Bologna, a San Luca. Che cosa cercava e cosa ha trovato?
“Cercavo di lasciare la presa da tutte le sicurezze, di tirare fuori nuove abilità che dopo tanti anni di carriera non sono scontate finché non trovi il coraggio di metterti in pericolo. Cercavo di tornare al senso dell’origine, a quella scintilla. Prima Antigua, poi Miami, fino a Seattle è iniziata l’ossessione simbolica di attraversare tutti i luoghi e le città di culto della musica americana da cui proveniamo. E quindi il blues, il folk... fino al grunge anni Novanta. Ho fatto un percorso a ritroso, per risalire la corrente”.
Fino all’Alaska.
“Lì ho preso il binocolo e c’era San Luca oltre la neve. E così sono tornato a casa. Ma questo percorso ha acceso il desiderio di creare un album che avesse la forza di un disco d’esordio”.
In che senso?
“Non ci sono collaborazioni, ma amicizie, non ci sono featuring, ma incontri. Il caos e il caso mi hanno portato all’energia che serviva per questo disco e Bologna è centrale: non solo perché sono le mie radici, ma perché la canzone più importante è San Luca: ha un’anima popolare, ma grande autorità. E l’incontro con Luca è il momento di verità più forte di questo album”.
Quando ha pensato a questa collaborazione?
“San Luca è una preghiera e quando è nata l’ho tenuta nel cassetto per molto tempo cercando di capire a chi fosse rivolta. Parlava di riflessioni sull’anima e sul futuro. Così come la basilica, così come la Madonna di San Luca, ritengo questa canzone un po’ religiosa e un po’ laica. Parla il linguaggio da inno dei nostri sentimenti”.
Anche di Carboni?
“Quando l’ha sentita Luca veniva da un periodo complesso, particolare e abbiamo vissuto momenti di grande commozione nel cantarla insieme. La sua è una voce leggendaria: credo che oltre i volti contino i timbri vocali e la dote di naturalezza con cui ci si muove nel mondo. Luca ha uno sguardo profondo, una voce inimitabile e un modo di muoversi nel mondo elegante e delicato. Questo suo approccio alle cose ha alzato la canzone a un livello più alto: io ho costruito la strada, i sanpietrini su cui camminare, ma mi sono fatto un po’ da parte. Non è solo una dedica a Bologna, questa, ma alla fede nell’uomo, nel credere che tutti i giorni possono succedere miracoli. Una religione che è quella della fiducia negli altri: quando accade in una canzone, la rende speciale e unica”.
Ci sarà anche lui al Dall’Ara sold out di questa estate?
“Ci sarà un momento che ci aspetta: quello in cui Luca tornerà sul palco del Dall’Ara e potrà cantare con me San Luca”.
È tornata una nuova stagione di collaborazione fra cantautori bolognesi?
“Un artista della mia generazione fa sempre i conti con il passato. Appartengo a una generazioni di mezzo fra l’analogico e il digitale, fra il Novecento e il baratro che lo divide da un mondo nuovo, ipertecnologico, che non sappiamo dove andrà. Quando scrivo ho sempre uno sguardo sul presente, ma anche al passato, perché non voglio rompere quel filo culturale che lega me a chi c’era prima. É un confronto severo a volte, ma anche di grande speranza”.
Perché?
“Viviamo in una società frammentata in milioni di pezzi. La musica può tenere insieme? La risposta è sì, e questo è un compito per un artista. Bologna mi commuove perché è una città che tiene insieme esperienze diverse, la varietà della provincia italiana, e io vorrei – l’ho sempre sognato –, far parte di questa storia”.
Lei partecipa attivamente alla vita della sua città: basti pensare all’illuminazione del portico di San Luca negli ultimi due anni. Un progetto che tornerà?
“È stato un progetto complicatissimo e articolato, in cui ho usato risorse personali. Ho donato alla città questa possibilità e ora c’è anche una canzone che parla di quel luogo. Se il Comune vorrà partecipare e dare un contributo per sviluppare dei progetti, non potrò che appoggiarlo e dare tutto quello che posso per questa città”.
Ieri, 25 anni fa, usciva ...Squérez?. Trent’anni fa ’Jack Frusciante è uscito dal gruppo’ che ispirò 50 Special: tutti inni di giovinezza. Sente di essere rimasto fedele ai suoi sogni di ragazzo?
“Sono rimasto fedele a quel ragazzo e non è sempre stato facile. Ho dovuto conquistarmi la fiducia della mia città e poi del Paese. Sono molto orgoglioso di venire da Bologna, ogni volta che vado negli stadi, da San Siro all’Olimpico, portare Bologna a questi livelli è uno dei risultati della mia carriera. É parte del primo sogno che ho avuto”.
E il sogno rossoblù?
“Questa vittoria ci vuole prima o poi. Credo nella caparbietà”.