Bologna, 7 febbraio 2024 – Enrico Brizzi e Lucio Dalla. A legarli, nella puntata di oggi del podcast il Resto di Bologna, è anche il premio Ballerino Dalla che il Qn-Carlino ha assegnato allo scrittore nell’ambito di ’Ciao-Rassegna Lucio Dalla per le forme innovative di musica e creatività’, seconda edizione, con serata finale al teatro Celebrazioni il 4 marzo. Il premio ha messo in luce, fra i tanti aspetti, "la musicalità della prosa" di Brizzi, così come i "molti riferimenti all’arte musicale nei suoi romanzi". E "tutto questo a 30 anni dalla pubblicazione di ’Jack Frusciante è uscito dal gruppo’". Era infatti il 1994 quando lo scrittore esordì a neanche vent’anni con quella "maestosa storia d’amore e di rock parrocchiale" e più di una generazione si appassionò alle vicende del liceale Alex, intrise di amicizia e amore. E musica.
Enrico Brizzi, chi era per lei Dalla?
"Per i bolognesi era una presenza familiare. Si incontrava sempre, assorto in conversazioni con i suoi collaboratori ed era facile immaginarsi che, mentre tu uscivi da scuola, lui stesse concependo un nuovo disco. Era un creativo a 360 gradi, una persona piacevolmente originale, ma che faceva cose molto simili alle persone comuni. Andava allo stadio, a Palazzo. Era lo zio originale, dai".
A quali brani è legato?
"Ce ne sono tanti, da quelli del periodo più sperimentale con Roberto Roversi a quelli più divertenti, da sentire in loop, come Disperato erotico stomp. Lo ascoltavo da ragazzino, parlava di situazioni quotidiane e tu ti immaginavi Dalla a Berlino con Bonetti, un cognome molto comune. E poi l’idea che nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino… erano cose che avevano attinenza con la realtà. E L’anno che verrà. Penso a quanto la si è cantata in gita, con gli scout, fino all’ultima volta, con mio fratello e gli amici allo stadio. Quasi un inno della bolognesità".
Restiamo a Bologna. Trent’anni fa esordì con ’Jack Frusciante è uscito dal gruppo’.
"Il primo giorno d’estate del 1994 Massimo Canalini di Transeuropa, la casa editrice che per prima pubblicò il libro, mi chiamò per dirmi che si andava in stampa: una tiratura di 200 copie adatta a un autore sconosciuto, neppure ventenne: 100 per Ancona e 100 per Bologna. Saltai su un Interregionale ed andai ad assistere al miracolo: la storia cui avevo lavorato prendendo appunti a mano, scrivendo e riscrivendo sul pc, poi sulle bozze, era diventato un libro. Fu un’emozione enorme".
E poi che successe?
"Ebbi in dotazione una decina di copie per fare ’pubbliche relazioni’. Una la diedi a Cesare Sughi del Carlino. Allora c’era Videomusic e uno dei veejay, Larry Bolognesi, metteva dischi al Parco Nord. Una sera ci andai, ma l’aspettativa di incontrarlo si interruppe subito, quando fui fermato dalla security con un ‘fila via, cinno’. Ma ci tenevo troppo e gli feci avere il libro con un bigliettino scritto a penna, con il numero fisso di mia nonna Pina. Dopo due e tre giorni mi dice: c’è uno della televisione per te al telefono".
Significò una svolta.
"E 14 ristampe in pochi mesi. Quell’estate fui invitato al Maurizio Costanzo Show, spettacolo plebiscitario, ma un ruolo importante l’ha avuto la stampa locale: il successo di Jack Frusciante è nato da Bologna, sulle colonne del Carlino per la prima presentazione alla Zanichelli, o il primo reading al Vox di Nonantola. Ci fu un boom e l’editore non riusciva a stare dietro alle ristampe e cedette i diritti".
In quel periodo il romanzo era sulla bocca di tutti. Fu un manifesto generazionale, c’era chi chiamava le figlie Adelaide, chi parlava come Alex. Come ripensa oggi a quei momenti?
"Da una parte con piacere, perché fu l’inizio della possibilità di trasformare una passione in un lavoro. Una botta di luce. Ma terremotò la mia vita. Era diventato difficile, all’improvviso, essere interpellato dai media ogni due per tre su cosa pensavano i giovani, dalle stragi del sabato sera all’ ex Jugoslavia e nei primi tempi di diffusione dei cellulari. Non riuscivo più a scrivere e servì tempo: c’era chi ti guardava come una specie di modello, chi con invidia. Mi trovai a un bivio: fare il vip o lo scrittore. Mi interessava la seconda via".
Un libro d’esordio così fortunato è stato anche ’un peso’?
"Con un testo che vende più di un milione di copie, esce in 24 Paesi e diventa un film, se non sei un illuso sai benissimo che qualsiasi cosa farai non avrà gli stessi esiti commerciali. Puoi solo scegliere se raccontare le storie che vuoi raccontare, sapendo che venderai meno, o ripeterti. Nella prima stesura, la storia non terminava come nel libro, ma andava avanti, poi con l’editore si decise che il momento migliore di sospenderla era quando il vecchio Alex con occhi lacrimosi si salutava con Aidi e si lanciava giù per via Codivilla in bici. Per me fu una scelta azzeccata e fin dall’inizio c’è stata l’idea di pubblicare eventualmente il prosieguo, che è rimasto nei miei floppy disk. Quando ci si è resi conto del successo, gli editori avrebbero fatto carte false per pubblicare la seconda parte della storia, ma ho deciso di aspettare due anni prima di uscire con un altro libro, Bastogne. Avevo in mente tanti besteller improvvisi, seguiti da una seconda parte improvvisa, poi una terza, fino a quando non si sapeva più il nome dell’autore, rimasto legato solo al titolo".
É stata la scelta giusta?
"Per il mio commercialista forse no, ma io penso che sarebbe stato un suicidio artistico. Poi magari verrà il giorno in cui farò leggere anche quest’altra parte della storia ai lettori più fedeli".
E ora come festeggerà il compleanno?
"Il 20 settembre ci sarà una serata di lettura e musica, al Locomotiv. Con amici musicisti stiamo trasformando alcuni brani, con strofe recitate. Quello bolognese sarà il momento più alto, ma mi piacerebbe fare più date partendo dal Sud, in modo da arrivare a Bologna bello carico".