Mordano (Bologna), 24 luglio 2013  - Un rifugio: "In qualunque parte del mondo io mi trovassi, non ho mai mancato di venire a trascorrere il mese di settembre nella nostra casa fuori porta San Vitale, a Villanova di Castenaso, sulle sponde dell’Idice, a pochi chilometri dalla città". Così Dino Grandi — il gerarca che il 25 luglio 43 liquidò il duce e il fascismo —, trent’anni fa descriveva al direttore del Carlino Tino Neirotti la villa di famiglia alle porte di Bologna. Anche se le tracce del ministro di Mussolini, conte di Mordano, si trovano in almeno due residenze private.

A Villa Brizzi, maestosa, sulla strada che porta a Ravenna, proprietà di Antonietta, la moglie di Grandi; e a Villa Cavazza, al Bargello di Castenaso, per i vecchi 'il palazzetto'. Isolata e un po’ sdegnosa, là in fondo a una strada bianca, circondata da un parco e difesa da un boschetto.

Campi, ville coloniche e silenzio, come a Mordano, nell’Imolese, il paese dove Grandi nacque il 4 giugno 1895, battezzato come Dino-Antonio-Giuseppe dal babbo Lino, possidente — così si diceva allora —, e dalla mamma Domenica, maestra.


L’INTERVISTA con il ‘suo’ Carlino ruppe un silenzio leggendario, 40 anni dopo quel 25 luglio che cambiò la storia. E fu soprattutto un atto d’amore a "Bologna, la città più cara e più amata tra tutte le città del mondo".

Celestina Gnesi, che abita a Villa Brizzi e ha l’età per ricordare, rivede una signora anziana che si fa avanti con la figlia, "avevamo iniziato i lavori, sarà stato il '72-73". La donna giovane chiede di poter dare un’occhiata. L’altra guarda la magnolia al centro del giardino e si lascia sfuggire una nota di nostalgia, "disse che l’avevano piantata per la nascita del figlio".


Un amore totale, quello di Grandi per Bologna. Qui è sepolto, nella tomba di famiglia. Qui si era ritirato, dopo il Brasile e gli anni modenesi. Scegliendo un appartamento in centro, via Alessandrini 26. "Si chiudeva in salotto con Renzo De Felice, stavano ore e ore a parlare — è il cammeo di Luca Andrea Bufferli, il nipote dell’ambasciatore, figlio di Simonetta —. Penso che mio nonno abbia portato con sé grandi segreti".

Personaggio sghembo. Rimosso da destra e da sinistra. Fascista per i comunisti; traditore per i fascisti, come gli scrivevano nelle lettere anonime, "gli continuarono ad arrivare fino alla fine, me ne mostrò una negli anni Ottanta, erano minacce", rivela il nipote.


Rinaldo Duò, 65 anni, è stato a lungo consigliere della Dc a Castenaso. Ha un tono tra il divertito e il desolato quando ripensa alla volta che "ci presentammo al sindaco con la richiesta di intitolare una strada a Grandi. Apriti cielo. Gran brusìo in sala, i compagni fecero il pelo dritto. Li interrompemmo subito, guardate che non avete capito bene, noi parliamo di Achille, il sindacalista". Damnatio memoriae.


A Mordano se fermi un vecchio contadino per strada e gli chiedi dov’è la casa di Grandi, ti indica una villa con un bel giardino. Ma l’abitazione vera sta dietro, un rudere "che teniamo così, poi vedremo", non ha idea Dante Bertozzi, il padrone di casa. Ha conosciuto il ministro, "veniva a trovare don Giacometti, il vecchio parroco di Mordano. Erano amici. Un omome alto e magro, una volta ha voluto vedere la casa dov’era stato bambino".
 

Inutile in tutto il paese cercare una traccia del gerarca. Loris Valentini, l’efficientissimo impiegato dell’anagrafe che sa tutto di tutti, non deve pensarci su troppo: "No, non ci sono segni visibili. L’unica lapide riferita al periodo fascista è una croce a Bubano". Un monumento al margine della strada, prima di entrare in paese. Ricorda la morte di Angelo Pelliconi, un ragazzo, un fascista, ucciso nel '24 dalla "parte avversa", così c’è scritto. O era una storia di gelosia? Le fonti sono contrastanti, la parentesi rimane sospesa.

Simone Grandi, parente di Dino non si sa a che grado — "mai fatto ricerche" —, capogruppo di centrodestra in consiglio a Mordano e apicoltore, ammette: "Era opportuno che il paese ricordasse il suo ministro. Almeno una via, ci stava... In fin dei conti quando era un pezzo grosso non si dimenticò della sua terra. Fece anche arrivare la ferrovia". Solo che, per dirla con il consigliere Duò: "Grandi? Era un buon uomo. Ma l’ha fat al fascesta".