Spalanca di nuovo il suo mondo interiore Beatrice Zerbini, immergendo le mani nel dolore e indagando il tema del lutto. ’Mi chiedi che cosa ho nel cuore’ – e la domanda forse è per tutti – esordisce la poeta bolognese nella sua ultima raccolta, che si intitola Quarantadue. Partita da In comode rate. Poesie d’amore (Interno Poesia), ben presto divenuto un caso editoriale, Zerbini ha ampliato i suoi orizzonti lavorando anche su albi illustrati, mentre l’anno scorso la sua poesia dedicata alla cassiera di un supermercato, un vero inno alla gentilezza, fece il giro del web. Ed ecco ora un nuovo lavoro per cui è stata inserita, spiega, ne ’La Gialla Oro’ di Pordenonelegge, una prestigiosa collana che vede la pubblicazione dei nomi più importanti della poesia nazionale, legata al festival letterario pordenonese ed edita da Samuele Editore.
Che cosa significa il numero che dà il titolo alla raccolta?
"Il titolo viene da una serie di fatti che mi sono capitati, a seguito di un grande lutto che ha sconvolto la mia vita. A un certo punto, ho iniziato a vedere ovunque il numero 42, persino ad ascoltarlo. Un giorno, nel pieno del dolore paralizzante, mentre mi trovavo in un negozio, è partita in sottofondo una canzone che mi ha fatto sentire accarezzata: era 42, dei Coldplay, un brano che dice così: “I morti, non sono morti/ Ma vivono nei miei pensieri/ E da quando sono caduto sotto quell’incantesimo ci vivo anch’io/42“".
E poi cos’è successo?
"Ecco apparirmi il numero su tabelloni, orari, scontrini, cartelli, targhe e chilometri, a segnare momenti decisivi. Sono arrivata a convincermi che i miei morti continuino a dirmi che mi amano e che lo facciano con il linguaggio dei numeri. Questo libro è un dialogo aperto con chi è assente, con chi non risponde, ma non lo fa fino in fondo".
Il dolore è qualcosa anche da accogliere?
"Il dolore per me fa parte dell’esistenza e si può superare, con l’azione, con la forza di uno sguardo altrove, ma ne farei volentieri a meno. C’è sempre qualcosa sulla soglia della disperazione a salvarci, basta non chiudere la porta con la gioia fuori, saper guardare, fosse anche solo accorgersi del dono del respiro".
Perché parlare di lutto oggi? È un tema che le persone fanno fatica ad affrontare?
"Sicuramente perché è un tema che mi abita, che io per prima fatico a trattenere, a silenziare e che implode dentro di me, con effetti sulla mia scrittura. E la mia è sempre una scrittura di condivisione".
Ha fatto scelte stilistiche particolari in questo nuovo lavoro?
"In generale la mia scrittura in questo libro è più asciutta, più scarna. Ho avuto il privilegio di lavorare con il grande critico e poeta Gian Mario Villalta che mi ha aiutata a limare, a cercare un’altra me".
Lei porta la poesia in molti ambiti. A quali progetti sta lavorando ora?
"Da un anno, faccio parte del laboratorio artistico della Fondazione Una Nessuna Centomila di Fiorella Mannoia, Giulia Minoli, Celeste Costantino e Lella Palladino e ho avviato insieme a loro il progetto Poesia. Una Nessuna Centomila per proporre laboratori poetici nelle scuole. Porto poi avanti un impegno di reading e incontri poetici – per persone di tutti i sessi e di tutte le età – su temi come l’amore, l’autodeterminazione, il riconoscimento delle proprie emozioni e delle proprie risorse, non solo a sostegno dei valori della fondazione e contro la violenza di genere, ma anche per una visione più rispettosa di tutte le fragilità e differenze".
Ci lascia una poesia?
"Esco,
vado a portare
fuori il dolore".