Continua la battaglia dei membri della chat di Telegram dai contenuti suprematisti e neonazisti ’Werwolf Division’ per uscire dal carcere. Ieri si sono tenute davanti al tribunale del Riesame le udienze per tre dei 12 indagati che il 4 dicembre sono stati arrestati nell’ambito dell’inchiesta della Digos e dalla pm Rossella Poggioli per associazione a delinquere e propaganda di discriminazione razziale, etnica, religiosa. Al gruppo è contestata pure la "preparazione di gravi attentati" anche contro la premier Giorgia Meloni e un economista del World Economic Forum, Klaus Schwab.
Tra gli indagati che hanno sostenuto il Riesame (tra cui nessuno dei presunti capi dell’organizzazione) c’è Alessandro Giuliano, difeso dall’avvocato Gabriele Bordoni, intervenuto in videocollegamento dal carcere di Sassari, in cui è detenuto nella sezione di alta sicurezza. L’avvocato Bordoni ha chiesto l’annullamento della misura cautelare per il suo assistito o l’affievolimento con i domiciliari, facendo leva su tre temi: asserita nullità dell’ordinanza di custodia cautelare, definita "copia e incolla" della richiesta formulata dal pm di Napoli titolare dell’indagine ’madre’ da cui è scaturito il ramo bolognese e perciò "priva di valutazione autonoma" del gip; mancanza di gravi indizi di colpevolezza per i reati ipotizzati contro l’indagato, poiché nonostante i due anni di attività social il gruppo non ha messo in atto alcuna azione che non fossero "progetti farneticanti e impossibili" abbinati "ad appellativi dal sapore adolescenziale"; e la sproporzione della detenzione in alta sicurezza per un "51enne incensurato, operaio e con famiglia".
In particolare, la gip Nadia Buttelli respinse l’istanza di scarcerazione dopo l’interrogatorio di garanzia di Giuliano (in cui questi ammise i contatti con il gruppo sostenendo però di essersi "defilato appena fu condiviso il link di un sito per comprare armi") anche alla luce di una chat emersa durante la perquisizione informatica sul suo cellulare al momento dell’arresto in cui questi, dialogando con un uomo estraneo all’indagine, veniva chiamato "generale". "Generale, procediamo con l’operazione ’Ottobre rosso’? Come chiamiamo il gruppo segreto?", gli chiedeva lo sconosciuto. "Charlie", rispondeva l’indagato. Messaggi scambiati il 30 settembre scorso e che non avrebbero avuto seguito, per la Procura riferibili a una volontà di "presa violenta del potere".
Ora, per i tre si attende la decisione dei giudici.
Federica Orlandi