Bologna, 9 ottobre 2024 – “Un anno dopo il dolore è sempre uguale. Anzi è peggio di prima. Ma Vincent voleva giustizia. E io vado avanti per ottenerla per lui”.
Matteo Plicchi è il papà del tiktoker che lo scorso anno si è tolto la vita in diretta social. Da quel giorno, assistito dall’avvocato Daniele Benfenati, ogni suo gesto, ogni sua dichiarazione sono stati indirizzati a sollevare quel “muro di impunità che permette ai violenti dei social di continuare a perseguitare ragazzi come Vincent”.
Matteo, per ottenere giustizia per Vincent ha praticamente avviato lei, assieme al suo avvocato, le indagini.
“Subito dopo la morte di mio figlio, la procura aveva archiviato il caso: suicidio. Ma Vincent non era depresso. Si è tolto la vita perché qualcuno lo ha spinto a farlo. Con una macchina del fango che lo ha travolto, con false accuse infamanti, partite da due influencer rivali che gli hanno attirato addosso odio e insulti. Sui suoi profili, nel suo telefono c’era prova di tutto questo. E con l’avvocato abbiamo presentato un esposto, dettagliato, alla polizia postale”.
E adesso c’è un’inchiesta, al momento senza indagati.
"Sì, il fascicolo è stato aperto il 14 agosto e affidato alla pm Elena Caruso, la stessa che aveva seguito da subito il caso. I reati prospettati sono pesanti, come l’istigazione al suicidio. Probabilmente, dalle indagini della polizia postale sono emersi quegli elementi che noi chiedevamo di indagare, quelle responsabilità che non è giusto restino impunite. Non è giusto che le violenze sui social non vengano perseguite".
C’è una coppia straniera che avrebbe incastrato, in una trappola di false accuse diventata mortale, Vincent.
"E non solo. L’ultimo messaggio ricevuto da mio figlio, probabilmente quello che lo ha fatto precipitare oltre la disperazione, in un luogo da cui non si torna, lo ha scritto un italiano. E ci sono diversi messaggi simili, che a questo punto ritengo siano all’attenzione della polizia".
I social le hanno tolto un figlio, ma adesso sono uno degli strumenti con cui sta cercando di ottenere giustizia.
"Dopo la morte di Vincent ho aperto alcuni profili in sua memoria. E tantissimi ragazzi mi hanno contattato. Alcuni per condividere informazioni, altri per chiedere aiuto, perché sono finiti nello stesso vortice di violenza e cyberbullismo e non sanno come uscire. Alcuni mi hanno detto di subire l’accanimento degli stessi che scrivevano cose terribili a Vincent".
Avevate chiesto a TikTok di aprire di nuovo il profilo di suo figlio, per vedere gli ultimi contatti nelle chat. Vi è stato negato.
"A me, come privato cittadino, hanno potuto dire di no. Non credo che potranno fare lo stesso se a chiedere l’accesso al profilo sarà la procura".
Grazie al suo impegno, la vicenda di Vincent non è stata dimenticata. E adesso ci sono incontri e dibattiti perché nessun altro ragazzo muoia per colpa dei social. "Bisogna fare rumore. E io sto provando a farlo. Sono grato al Comune di Bologna e al sindaco Matteo Lepore che mi hanno subito dimostrato vicinanza. È stato realizzato un murales per Vincent in città, un altro sarà fatto a Cremona. Stanno producendo un corto su mio figlio, c’è una raccolta fondi a Pianoro per fare sensibilizzazione nelle scuole e il 21 ottobre saremo in Salaborsa per un convegno anti cyberbullismo e violenza in rete, realizzato con Aics. C’è bisogno di rumore, perché i ragazzi devono sapere che non sono soli".