
Varesi, un noir di ghiaccio: "Il mio libro aggiornato"
Valerio Varesi ha cominciato a scrivere storie molto prima di ascoltare quelle che poi avrebbe riportato sulle pagine dei quotidiani con cui ha collaborato, la Gazzetta di Parma e poi la Repubblica. E quel lavoro di scrittore che ha ripreso in mano nel 1998 con la prima avventura del commissario Soneri, accomodandosi sotto i riflettori delle classifiche italiane e internazionali (in Francia lo definirono ’il Simenon italiano’), da circa un anno lo pratica a tempo pieno, perché ha concluso la sua onorata carriera giornalistica cominciata nel 1985. Ha anche potuto ripensare un romanzo pubblicato nel 2003 Il labirinto di ghiaccio, perché i concetti che racchiude sono oggi più che mai urgenti. Il libro è presentato domani, venerdì 3 novembre, in Salaborsa alle 18 con Roberto Grandi e Giusy Giulianini.
Varesi, qual è la genesi del suo ultimo romanzo?
"Nel 2003 pubblicai un’ossatura de ’Il labirinto di ghiaccio’, che era abbinato alla Gazzetta di Parma che, con un’iniziativa, rieditava testi di scrittori parmigiani del passato ma pubblicava anche autori della nouvelle vague parmigiana. Uscì dunque la prima stesura, però limitatamente alla provincia di Parma. Nel frattempo ho scritto tanto, ma quel libro è stato sempre in rampa di lancio, pronto ad essere rivisto per un lancio nazionale. A Mondadori l’idea è piaciuta".
Qual è il nuovo significato del romanzo vent’anni dopo?
"Ad esempio il ghiacciaio protagonista oggi è sottoposto ai cambiamenti climatici. Nel 2003 se ne parlava, ma era una discussione di nicchia. Oggi è uniformemente diffusa questa idea per cui il clima è cambiato e anche i ghiacciai e questo ha a che fare con la storia. Ho fatto un vero aggiornamento".
Il suo protagonista fugge per ritrovare la sua individualità e nella ricerca di se stesso c’è anche il ritrovare un rapporto con la natura.
"Il protagonista cerca se stesso, il che si lega anche al distacco che viviamo dalla realtà e dalla natura. Se la tecnica, come diceva Heidegger, ci ha allontanati dalla natura, adesso il digitale e il virtuale ci hanno ulteriormente allontanati dalle cose. Oggi non abbiamo più esperienza diretta delle cose. Vogliamo conoscere la Mer de Glace del Monte Bianco, bene, andiamo su internet. Cerchiamo un’informazione e non un’esperienza. Il mio protagonista cerca un corpo a corpo col mondo naturale".
Questa è anche la ricerca di chi va in montagna. È anche la sua?
"Sì, sono appassionato di montagna, faccio anche delle escursioni abbastanza pesanti, non proprio una roba da pensionati, tanto per riprendere il fatto che ora sono in pensione, ma in realtà le prove estreme le ho ricevute dallo sport, dall’atletica, che mi ha insegnato la solitudine. Correre a piedi è questo".
Il romanzo è molto di più della ricerca di se stessi, però. C’è un filo giallo, per così dire, da seguire.
"Ci sono dei colpi di scena perché il protagonista commette cose poco edificanti per fuggire. E riaffiorano anche altre cose dal passato. Definisco questo romanzo una zuppa inglese, ci sono tanti strati, tanti livelli di lettura. Come il ghiacciaio, man mano che scendi vedi gli strati e cambia il colore del ghiaccio".
Se Soneri ci porta la visionarietà della nebbia, il ghiaccio cosa ci porta?
"Il ghiaccio è la memoria, qualcosa che congela e mantiene le cose. Però è anche ambiguo, perché dà l’idea dell’immobilità, dell’eternità e della fermezza assoluta e invece è in movimento, racchiude un significato e il suo opposto, il movimento".