CHIARA GABRIELLI
Cronaca

Usura ed estorsione, tre condanne. Tassi alle stelle e minacce di morte. Cade l’aggravante del metodo mafioso

Vittima una imprenditrice, costretta a ripagare il debito con interessi arrivati fino al 76 per cento. Pena di sei anni ciascuno per due cugini napoletani. L’ avvocato Murgo: "Ricorreremo in appello".

Usura ed estorsione, tre condanne. Tassi alle stelle e minacce di morte. Cade l’aggravante del metodo mafioso

Dell’indagine si occuparono i carabinieri: da sinistra, il luogotenente Salvatore D’Elia, il colonnello Diego Polio e il maggiore Marco Fragassi

Usura ed estorsione ai danni di un’imprenditrice bolognese, condannati tutti gli imputati: i due cugini napoletani, Carlo Denza e Vincenzo Denza, alla pena di sei anni ciascuno, mentre Maria Principe (moglie di Vincenzo) a due anni con pena sospesa (solo per usura). Caduta l’aggravante del metodo mafioso. E la difesa annuncia: "Faremo appello". Si è concluso così il processo di primo grado davanti al collegio dei giudici del tribunale di Bologna, presieduto da Massimiliano Cenni. Accolte le richieste di pena della Procura, con il pm Augusto Borghini. Gli imputati sono assistiti dagli avvocati Matteo Murgo e Vincenzo Buonocunto. Tutto è partito da un’indagine dei carabinieri del 2020 denominata ‘Cinque per mille’. L’imprenditrice bolognese, con una attività nel settore immobiliare, aveva chiesto ai napoletani un prestito di 20mila euro, che poi sarebbe stata costretta a ripagare con un tasso di interesse al 76 per cento: ergo, sessantamila euro di interessi in meno di cinque anni (mille euro al mese) e quel debito che non calava mai. Con minacce di morte verso lei e i suoi figli se si fosse rifiutata di pagare. Quando i soldi stavano per finire o lei tentennava con i pagamenti, i napoletani sarebbero scattati, tirando in ballo anche alcuni clan mafiosi: "Te li trovi sotto casa, sanno tutto di te, di tua figlia e di tuo figlio". O ancora: "Gli do una coltellata alla gola – il contenuto di una delle molte intercettazioni –, una coltellata gliela do...". A un certo punto, nel 2018, la donna ha trovato il coraggio di denunciare tutto: "Non ce la facevo più". Sono partite le indagini dei carabinieri del nucleo operativo della Compagnia Bologna Centro e della stazione Indipendenza, diretti dal pm Borghini. E nel febbraio 2020 la svolta con l’esecuzione di tre misure cautelari, due delle quali in carcere (poi ottennero gli arresti domiciliari al tribunale del Riesame). "Un fenomeno – aveva commentato allora il tenente colonnello Diego Polio –, quello dell’usura, che pensavamo non appartenesse al nostro territorio". La storia è iniziata nel 2013 quando la donna, sommersa dai debiti, era entrata in contatto con uno dei tre, Carlo Denza, parrucchiere di Bologna, definito dagli inquirenti ‘il perno’ dell’organizzazione criminale. Lui a quel punto avrebbe dato il via a una attività di mediazione tra la donna e gli altri due, Vincenzo Denza e la moglie Maria Principe. Per cinque anni lei sarebbe stata costretta a sborsare ben 65mila euro totali, quasi tutti in contanti, con assegni e cambiali usati come garanzie.

"Una vicenda giudiziaria complessa, ridimensionata dall’intervenuta esclusione della circostanza aggravante ostativa del metodo mafioso richiesta dalla difesa – le parole dell’avvocato Matteo Murgo, legale di Carlo Denza –. Ricorreremo prontamente in appello all’esito del deposito delle motivazioni della sentenza".