Bologna, 5 gennaio 2024 – È caccia al quarto uomo della strage del Pilastro. A colui che fu visto da diversi testimoni allontanarsi dall’asfalto su cui giacevano i corpi martoriati dei tre giovanissimi carabinieri Andrea Moneta, Otello Stefanini e Mauro Mitilini, il 4 gennaio 1991, a bordo di un’Alfa 33 che portava anche i fratelli Savi, tra cui Roberto rimasto ferito nello scontro a fuoco.
Contattato "tramite una cabina telefonica", si ricostruì, il misterioso uomo arrivò a bordo dell’automobile per soccorrere i tre fratelli, poi di lui non si seppe più nulla. Né dell’auto, in effetti, mai più rinvenuta a differenza delle altre usate nei colpi, anche i più sanguinosi, compiuti dalla Banda della Uno bianca.
È questo uno degli aspetti che mira a chiarire la nuova inchiesta della Procura – con il procuratore capo Giuseppe Amato e la procuratrice aggiunta Lucia Russo –, affiancata da Digos e Ros, aperta proprio per fare luce sulla scia di sangue che, tra il 1987 e il 1994, la banda lasciò dietro di sé, mietendo 24 vite e causando 102 feriti. Inchiesta annunciata due giorni fa dal Resto del Carlino e che indaga sul reato di omicidio in concorso, sebbene per ora a carico di ignoti: dunque, si vuole capire chi abbia collaborato con i Savi nel mettere a segno gli efferati omicidi di cui sono stati autori.
A questo scopo, Digos e Ros stanno vagliando con scrupolo tutti gli atti disponibili sulla banda, ora digitalizzati. Incroci, incongruenze, ricorrenze sfuggite nel corso della prima inchiesta e del processo del 1997: tutto ora viene ripercorso e valutato. Con particolare attenzione ai colpi più cruenti, tra cui le rapine – all’armeria di via Volturno, alla Coop di Casalecchio e a Castel Maggiore, con l’agguato ai carabinieri Stasi ed Erriu – per fare luce su circostanze non approfondite nel processo di allora. Per esempio: ci sono nomi ricorrenti? Figure che sono dove non dovrebbero, o che tornano in più di un caso, in modi solo all’apparenza casuali? Nel mirino anche il ruolo dell’ex brigadiere condannato per calunnia e radiato, Domenico Macauda, che depistò le indagini sull’agguato di Castel Maggiore: gli avvocati dei parenti delle vittime hanno chiesto la comparazione del dna su alcuni capelli trovati all’epoca nella Fiat degli assassini e nuovi esami balistici su bossoli e revolver in uso al brigadiere. Insomma, la trama è fitta, tra testimoni, "non ricordo", e trent’anni di memorie seppellite ad arte o dal tempo.
E di tempo ne è passato: ieri sono stati 33 anni dalla strage del Pilastro. Come ogni anno, l’Arma e le autorità, cittadine e non solo, con in prima fila i parenti delle tre giovani vittime, le hanno commemorate. Alla cerimonia in via Casini, nel quartiere bolognese del Pilastro dove appunto caddero i militari, dopo la funzione religiosa sono state lette le motivazioni del conferimento della medaglia d’oro al Valor civile ai tre.
«È una giornata di dolore, ma la riapertura delle indagini ci dà fiducia – le parole di Alessandro Stefanini, fratello di Otello –. Siamo sempre più convinti che dietro la Uno bianca ci fossero altre persone, sicuramente ancora in giro". Commossa la madre, Anna Maria Stefanini: "Solo la speranza di sapere la vera verità mi dà la forza. Mio figlio, che oggi avrebbe 55 anni, non c’è più, ma vive dentro di me e per lui tengo duro". L’anziana, a braccetto con il sindaco Matteo Lepore, è stata poi accompagnata a visitare la nuova caserma dei carabinieri al Pilastro, a breve operativa, assieme agli altri familiari delle vittime: "Una pre-inaugurazione che avevo promesso loro – commenta il primo cittadino –. La nuova inchiesta? Confidiamo che la magistratura faccia luce piena". D’accordo la sorella di Andrea Moneta, Alessandra, e il fratello di Mauro Mitilini, Ludovico: "Vogliamo solo la verità. Confidiamo che la magistratura la trovi".