E’ stato reso pubblico il documento che arriverà sulle scrivanie dell’Unesco il prossimo settembre, quando si deciderà se i Gessi bolognesi e quelli dell’Emilia Romagna diventeranno Patrimonio dell’Umanità oppure no. A redigerlo è stata l’Unione internazionale per la conservazione della natura, ong con sede in Svizzera delegata dall’Unesco a curare il dossier relativo alle candidature.
Il parere è netto: secondo l’ente la candidatura ’incontra i criteri richiesti’: la grotta della Spipola e le altre 900 grotte nei gessi dell’Emilia Romagna, si legge, "sono i primi e meglio studiati al mondo, oggetto dell’attenzione accademica sin dal XVI secolo. Nessun’altra area carsica gessosa ha la stessa biodiversità minerale, ed alcuni di questi minerali non sono presenti che qui".
Sulla carta insomma i gessi bolognesi e quelli dell’Emilia Romagna sembrerebbero pronti per entrare nel ristretto club dei siti italiani a carattere naturale diventati Patrimonio Unesco, il quale comprende l’Etna, le Eolie, le Dolomiti e le faggete vetuste fra cui quelle delle Foreste Casentinesi.
Oltre alle luci c’è però anche qualche ombra: la Iucn punta il dito su quattro situazioni in particolare: l’assenza di un singolo ente di gestione che curi globalmente l’area in questione (oggi frazionata fra il parco regionale dei Gessi Bolognesi, il Parco nazionale dell’Appenino emiliano e varie altre aree protette), la presenza della cava di Monte Tondo in provincia di Ravenna, la non adeguata tutela di alcune modeste porzioni di gessi reggiani, e infine la mancanza di un ‘visitor management’ che salvaguardi l’area dal prevedibile massiccio afflusso di turisti.
Il piano della Regione, principale sponsor della candidatura progettata dalla Federazione speleologica dell’Emilia Romagna e avallata dal ministero per l’Ambiente, è di farsi trovare pronta alla sessione Unesco in programma in Arabia Saudita dal 10 al 25 settembre. Regione e ministero degli Esteri potrebbero infatti presentarsi alla sessione Unesco con nelle mani un piano per colmare i vari gap evidenziati, dall’implementazione di una struttura che curi il territorio in questione (pronta in 18 mesi), passando per l’approvazione del Piano ravennate delle attività estrattive (in via di pubblicazione), che potrebbe sancire una volta per tutte il non ampliamento della cava di Monte Tondo, e infine l’ampliamento dell’area protetta reggiana.
Appare invece più complicato mettere in campo azioni in grado di evitare il cosiddetto ‘overtourism’, cioè l’afflusso incontrollato di visitatori assiepati sui gessi.
Filippo Donati