Bologna, 27 novembre 2024 – Un curioso caso che ha sollevato un tema tutt’altro che banale. E di certo attuale. Il tribunale di Bologna, con un’ordinanza depositata ieri e a firma del giudice Marco Gattuso (lo stesso magistrato che nelle scorse settimane ha rinviato alla Corte Ue il decreto ‘Paesi sicuri’), ha sollevato d’ufficio eccezione di illegittimità costituzionale della disciplina italiana in materia di cittadinanza nella parte in cui prevede il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis senza limiti temporale. Il tribunale ha chiesto alla Corte Costituzionale di valutare se il riconoscimento della cittadinanza per la presenza di un solo avo, anche risalente di molte generazioni, a chi non abbia legami di cultura, lingua, tradizioni o non relazioni con il territorio italiano, sia compatibile con i principi della Costituzione, e con la coincidenza tra "popolo e sovranità".
La questione nasce dal caso di 12 brasiliani, che hanno chiesto la cittadinanza italiana perché discendenti di una antenata nata nel 1874 a Marzabotto e partita giovane per il Brasile. È la loro unica ascendente italiana, tra decine di altri; non risulta che i 12 conoscano la lingua, siano mai stati in Italia o intendano trasferirsi nel nostro Paese.
"Posto che l’ordinamento italiano è uno dei pochissimi al mondo a riconoscere lo ius sanguinis senza prevedere alcun limite – illustra il presidente del tribunale, Pasquale Liccardo – e che il nostro Paese presenta all’estero, secondo le stime più accreditate, diverse decine di milioni di discendenti da un antenato italiano, il tribunale chiede alla Consulta, con plurimi richiami anche alle indicazioni interpretative della Suprema Corte Costituzionale e della Suprema Corte Internazionale di Giustizia, di verificare se tale disciplina si ponga o meno in contrasto con le nozioni di popolo e di cittadinanza come richiamati nella Costituzione, con il principio di ragionevolezza e con gli obblighi internazionali assunti dall’Italia anche nell’ambito dell’Unione europea".
In particolare, il giudice Gattuso rileva come "l’Italia è il secondo paese al mondo per numero di emigrati", con 30 milioni di persone trasferitesi in 120 anni, ma il primo "se si confronta il numero di emigrati con gli abitanti: almeno 60 milioni di discendenti da emigrati, superano la popolazione in patria". La scelta di non porre limiti ai discendenti di emigrati risale a una legge del 1912, "epoca che non conosceva facilità di trasporti e di comunicazione". Ma oggi apre a nuove prospettive, "sulla spinta delle gravissime crisi economiche di molti paesi d’origine". Inoltre, "l’esplosione delle naturalizzazioni di stranieri residenti in Italia, apre in prospettiva alla possibilità di acquisizione della cittadinanza per i loro discendenti nati e residenti all’estero". Insomma, "i modi di acquisto della cittadinanza possono influenzare i meccanismi istituzionali, finendo col compromettere il diritto dei cittadini di concorrere a determinare la politica nazionale. Sarebbe, ad esempio, illegittima una disposizione volta a escludere la cittadinanza di chi sia nato o viva in una determinata regione del paese. Cozzerebbe con la nozione di ’popolo’ e ’cittadinanza’ della Costituzione".