
di Pierfrancesco Pacoda
La Morabeza è la ‘saudade’ capoverdiana, una nostalgia intrisa di amore, di consapevolezza che l’attimo che viviamo è quello che racconta la nostra vita, chi siamo. E’appena trascorso e già vorremmo che tornasse. Sentimenti intorno ai quali gravita il nuovo album di Tosca, ‘Morabeza’, che la cantante presenta giovedì al Teatro Duse (via Cartoleria 42, ore 21) Info e biglietti Tel. 051 231836 - biglietteria@teatroduse.it
Tosca, il suo nuovo disco è immaginato come un viaggio attraverso mondi lontani.
"Morabeza è un omaggio alla forza narrativa del suono, al suo essere lo specchio di una terra, di un popolo, che proprio alle canzoni si affida quando vuole mettere in scena la sua anima profonda e popolare. E’ un disco di world music, di musica dal mondo che ho amato, raccolto in giro per il globo e portato con me, come frammenti di esperienza vissuta e irripetibile".
La musica dell’attimo, dell’ascolto immersi nel suono...
"E’ la musica della Morabeza, un termine della cultura capoverdiana che ha ispirato questo lavoro. Sei lì, per le strade di un luogo remoto, subisci il fascino di un musica che non hai mai ascoltato, senti una voce in una lingua sconosciuta, ma il suo spirito ti arriva, ti arricchisce, vorresti tenerlo sempre con te, ma va via e ti rimane la nostalgia".
Quali sono le tappe più significative sulla strada di Morabeza?
"Il punto di partenza è l’America del Sud. Da lì esploriamo sentieri che passano per il Brasile, arrivano in Europa, in Portogallo, fanno rotta verso il Nord Africa, poi si dirigono in Francia. E’ un intreccio di tradizioni e di popoli in movimento, è un invito alla scoperta di repertori dove ognuno può ritrovare una parte di sè che non conosceva".
Il suo disco presenta una grande varietà di fonti musicali. Cosa le unisce?
"Nello spettacolo le canzoni sono legate dalle parole del racconto Canto alla durata dell’autore tedesco Peter Handke, che parla proprio di quel sentimento che a Capoverde chiamano Morabeza. Ma è il nostro sguardo a rendere personale brani di provenienza così differente. Quando li interpretiamo diventano nostri, la voce, l’utilizzo, spesso, di un’altra lingua rispetto a quella originale, sono strumenti che usiamo per farli diventare patrimonio comune. Ed è proprio questo il senso profondo di una definizione come world music. Rendere fruibili altre identità".
Lei ha già portato queste canzoni sui palchi internazionali.
"Il disco mi ha permesso di suonare in ogni angolo del mondo, in ogni tappa affiancata da musicisti locali con i quali ci scambiavamo le canzoni. Pochi giorni fa, a Orano, in Algeria, il concerto è diventato una festa dove tutti ballavano con i ritmi del Sud America mescolati con quelli del Nord Africa. E dopo il bis, hanno voluto che cantassi ‘Bella Ciao’".
Che repertorio offrirà invece al pubblico di Bologna?
"Il palco del Teatro Duse diventerà un salotto latino. Ci saranno canzoni brasiliane, capoverdiane, canti egiziani, suoni che arrivano dalla tradizione francese. Un invito a scoprire le meraviglie di musiche lontane, a farle diventare famigliari".