Bologna, 10 gennaio 2023 - Otto minuti disperati prima del sangue e dell’inferno. Otto minuti, dalle 7.51 alle 7.59, di conversazione con il padre attraverso una serie di messaggi su Whatsapp: "Papà devi venire qui, lui sta facendo dei casini. Devi aiutarmi".
Era la vigilia di Natale, via Rialto, quando G., bolognese di 25 anni, si trovò davanti l’ex compagno, sei anni in più, origini marocchine, con precedenti per spaccio e lesioni gravi. Strafatto di cocaina e alcol, completamente fuori controllo: inveì, buttò a terra la donna, poi inforcò un paio di forbici e la colpì ripetutamente alla gola. Una scena agghiacciante davanti a sei occhi innocenti, quelli dei loro tre bimbi: 2, 6, 8 anni appena. "Papà ha fatto una cosa terribile – diranno i più grandi sotto choc agli assistenti sociali –, ha cercato di uccidere la mamma. Dovete arrestarlo".
G. oggi non è più attaccata alle macchine, "respira da sola", racconta il suo avvocato, Donata Malmusi. Sta un po’ meglio, nonostante non riesca ancora a deglutire e a parlare, comunica solo attraverso messaggi. "Ho malissimo alla gola – scriveva ieri –, sto impazzendo". La sua prognosi resta riservata e al Maggiore continua a essere tenuta monitorata ’h24’, ma il peggio sembra passato dopo i primi momenti drammatici all’arrivo in ospedale. Un "rapporto molto conflittuale" tra i due, scrive il gip Sandro Pecorella nelle 12 pagine di ordinanza di custodia cautelare. "Erano diversi anni che la donna si lamentava dell’ex compagno e aveva detto varie volte a lui e a vari amici che lo voleva lasciare". Lo aveva già denunciato per maltrattamenti, poi ritirò tutto "per paura", dirà il padre della vittima. L’ultimo a sentire la figlia prima di essere aggredita.
"Alle 7.51 mi ha inviato un messaggio – spiega ai carabinieri – per chiedermi se ero già sveglio". Il messaggio successivo è allarmante: "Papà devi venire subito qui. Papà, non se ne vuole andare, sta facendo casini qui. Aiutami". Il genitore capisce che la situazione è già molto grave, cerca di avere qualche informazione in più: "Perché non se ne vuole andare?". La figlia, già in difficoltà riesce solamente a digitare sul telefonino poche ultime lettere: "Via Rialto (con il numero civico del B&B dove da pochi giorni si era trasferita con i figli per stare lontano da lui, ndr )...". "Papà". "Portalo via da qui". L’ultimo messaggio arriva al genitore alle 7.59. Poi il vuoto e il buio. Pochi minuti più tardi sarà il nipotino di otto anni a videochiamare il nonno: "E’ riuscito solo a dirmi che papà stava ammazzando la mamma e mi ha chiesto insistentemente di raggiungerli e di aiutarli. In quei pochi attimi di videochiamata ricordo in sottofondo la voce di mia figlia invocare aiuto, ma non sono riuscito a vedere nulla anche perché il telefonino era fermo e non mi ha permesso di vedere la dinamica dei fatti. Ho sentito solo delle grida e i classici rumori provocati da una aggressione".
Non è finita perché a chiamare ora è l’aguzzino: "Cinque, sei secondi ma non ho capito nulla". Il dramma è già avvenuto. A terra, in una pozza di sangue, c’è la giovane mamma in fin di vita, i suoi figli attorno sotto choc e in lacrime con un’unica ’arma’, quella di gridare il più forte possibile e chiedere aiuto. "Il papà – diranno – ha fatto una cosa terribile. E’ successo in bagno, aveva delle forbici in mano". Il più grande, con il coraggio di un adulto, aggiungerà di essere molto arrabbiato con lui e di sperare che "lo arrestino" per il male fatto alla mamma.
Ma, aggiunge il giudice, "l’indagato non si è fermato a tale gravissimo tentato omicidio". L’uomo, scalzo, insanguinato e con un arma simile a un coltello in mano, prende la direzione di via Castiglione dove in quel momento c’è una donna in auto: "Mentre mi accingevo a scendere dalla macchina a motore acceso, – spiegherà agli inquirenti – ho visto un giovane con occhi pieni di sangue e i denti fuori come se stesse ringhiando. Senza dire nulla iniziava a colpire il vetro lato guida con un oggetto metallico con delle punte. Non diceva nulla ma aveva un’espressione da fuori di testa. Avevo paura che rompesse il vetro e che volesse uccidermi, così sono passata nel sedile del passeggero anteriore, ho aperto la portiera e sono scappata dalla macchina gridando aiuto a squarciagola". Il folle afferra il volante, imbocca via Santo Stefano e via Farini a grande velocità prima di schiantarsi definitivamente in via de’ Carbonesi. Pochi minuti più tardi la polizia riesce a braccarlo in piazza Galileo Galilei, a piedi della questura, dopo un breve inseguimento a piedi in via Val D’Aposa, via de’ Grifoni, via Volto Santo.
Di quei terribili momenti, ha sempre raccontato il 31enne, "non ricordo nulla" confermando solo di avere "assunto così tanta cocaina quella notte nella quale prima ero stato in discoteca e avevo pure bevuto vodka". Dal 24 dicembre è in una cella della Dozza da solo, guardato a vista dalla polizia penitenziaria per il pericolo di atti autolesionistici e con il suo avvocato, Matteo Sanzani, che ha già annunciato che chiederà una perizia psichiatrica. "Chiara è l’esistenza di esigenze cautelari – conclude il gip – sotto il profilo del pericolo di reiterazione del reato. Già in passato ha dimostrato la tendenza alla commissione di reati violenti, sempre legati alla sfera affettiva".