Bologna, 13 dicembre 2018 - Il taxi di Hendrik Atti si chiama Ginevra 17. Prima si chiamava Avana 7, ma dopo la nascita della sua bimba, l’auto è stata ‘ribattezzata’. E non c’è bolognese, tra quelli che vivono la notte, che non conosca Hendrik. Tassista di notte, bolognese doc, volontario dell’Associazione nazionale carabinieri, Hendrik Atti è soprattutto una persona che non sa cosa sia l’indifferenza. Di fronte a una violenza, a un reato, non riesce a rimanere distaccato. Gli operatori delle forze dell’ordine, quelli dei turni sulle pattuglie, lo conoscono tutti. Perché se c’è qualcuno in difficoltà, Hendrik interviene e li allerta. Il suo è stato uno dei primi taxi in città a dotarsi di defibrillatore. E, soprattutto, Hendrik è uno che non si gira dall’altra parte. Non lo ha fatto nel 2007, quando ha salvato una ragazza che stava per essere stuprata in piazza Malpighi. E non lo ha fatto l’altra notte, quando ha visto quattro persone accanirsi contro un povero operaio, che voleva solo fare il suo lavoro.
Atti, cosa l’ha spinta a fermarsi l’altra notte?
«Stavo attraversando via Ugo Bassi con il mio taxi, quando ho visto queste persone che stavano massacrando il netturbino. Era impressionante, in quattro contro uno. Non ci ho pensato un attimo e mi sono fermato per aiutarlo. Ho anche azionato l’allarme rapina prima di scendere. E infatti la polizia è arrivata in pochissimo tempo. Purtroppo, però, quelli mi avevano già pestato».
Ma come è successo?
«Appena sceso dal taxi ho gridato: ‘Fermi, lasciatelo stare’ e mi sono avvicinato al gruppo. Io sono abbastanza preparato, so immobilizzare un aggressore, ma sono stato colto di sorpresa. Perché è arrivata la ragazza, che mi si è messa davanti. Mi diceva di tutto, mi spintonava. Ma io le donne non le tocco».
E gli altri due ne hanno approfittato.
«Sì. Mentre io ero fermo davanti alla ragazza, da dietro uno dei suoi amici mi ha sferrato un pugno in faccia, alla mandibola. È stato un attimo, perché poi è arrivato anche l’altro. Mi hanno buttato a terra. Non vedevo più niente per il sangue. E ho sentito un colpo, violentissimo, alla testa».
A cosa ha pensato in quel momento?
«Ho pensato alla mia bambina, che ha solo tre anni. Che non volevo lasciarla senza un papà».
Poi è arrivata la polizia.
«I ragazzi sono stati rapidissimi, li hanno fermati in via Lame, in pochi minuti. Li voglio ringraziare».
Ora come si sente?
«Tutto rotto, ma ne è valsa la pena».
In che senso?
«Penso che se non fossi intervenuto, quell’uomo adesso avrebbe potuto essere morto. Erano come dei pazzi».
Lo rifarebbe?
«Ovvio».