Bologna, 27 marzo 2024 – Un tampone positivo al Covid 19, che permetteva di ottenere il Green pass senza bisogno di fare il vaccino, costava cento euro. Se invece ne bastava uno negativo, magari per mantenere aperta l’azienda anche se i dipendenti erano malati, la cifra era ben più modesta, una decina di euro. Ma il business non dormiva mai: secondo l’accusa, il biologo "falsario" principale indagato della maxi inchiesta sui Green pass fasulli a Bologna, sfornava una media di più di duecento tamponi (o certificati di esecuzione del tampone) contraffatti al giorno, per decine di clienti.
Siamo nel 2021. Nel pieno della pandemia: arrivano i primi vaccini, le ’zone rosse’, le quarantene e, appunto, il famoso Green pass, quel certificato che apriva le porte alle persone vaccinate o che, essendo guarite dal Coronavirus, ne avevano sviluppato gli anticorpi abbattendo così il rischio di farlo circolare. Ecco che allora l’ambìto pass metteva in crisi i ’no vax’, i quali, essendo contrari al vaccino, potevano ottenerlo solo una volta guariti dal Covid. Qui, dunque, stando alle accuse, sarebbe entrato in gioco il biologo.
Sono oltre cento le persone finite nel mirino della Procura con la pm Rossella Poggioli e dei carabinieri della Compagnia di Molinella, che tra la fine del 2021 e metà del 2022 hanno portato avanti una serrata indagine sui Green Pass falsi. Tra gli indagati, oltre al biologo di 59 anni, una parrucchiera – per l’accusa sua diretta collaboratrice, che gli forniva nomi e dati di potenziali clienti anche tramite intermediari, a loro volta indagati – e i clienti. Tra questi ultimi, spiccano anche i responsabili di diverse aziende cittadine, alcune piuttosto grandi.
Le principali accuse sono di falso ideologico in atto pubblico; al biologo e alla sua collaboratrice sono contestati anche la corruzione in concorso – perché si facevano pagare per i falsi certificati, per poi spartirsi i proventi – e a lui soltanto pure la simulazione di reato. A febbraio 2022 denunciò infatti il furto di una borsa con all’interno agenda, documenti e tablet che avrebbero contenuto i dettagli di questa sua attività, oltre che i nomi e riferimenti dei clienti: per gli inquirenti architettò tutto temendo di essere indagato.
Le indagini si sono aperte alla fine del 2021. Quando i carabinieri della Compagnia di Molinella notarono sui social le dichiarazioni di diversi ’no vax’ bolognesi e di negazionisti del virus, che orgogliosamente rivendicavano ai propri followers di non avere mai fatto vaccini né tantomeno contratto il Covid. A successivi controlli d’iniziativa dei militari, però, tutti risultarono in possesso di regolare Green Pass. Emessi, si scoprì poi, dopo il tampone prima positivo, poi negativo, eseguito e documentato sull’apposita applicazione dal medesimo biologo, che collaborava con almeno tre distinti laboratori del territorio. Alcune persone risultavano essersi fatte anche cinque o sei tamponi dallo stesso. In più, una segnalazione era anche giunta alle forze dell’ordine dall’Ausl, per sospetto di certificati contraffatti.
Nel mirino dell’inchiesta ora ci sono, come detto, i clienti del biologo e della sua "collaboratrice", che avevano entrambi sia contatti diretti sia intermediari che procuravano loro nominativi di persone interessate al ’servizio’. Si tratta di privati e di titolari di aziende; questi ultimi magari richiedevano tamponi a tappeto ai dipendenti nelle loro sedi. A volte, si contesta, i tamponi neppure venivano fatti davvero: tanto, il risultato era già stato deciso (e pagato) in precedenza.
Un giro di migliaia di false attestazioni insomma, che nel corso della pandemia potrebbero avere contribuito alla circolazione di un virus che, dal 2020 in poi, ha mietuto quasi cinquemila vittime nella nostra città.