CHIARA GABRIELLI E NICOLETTA TEMPERA
Cronaca

La strage del Pilastro: “C’era un altro livello”. Ma i familiari sono divisi

Bologna, i parenti dei tre carabinieri: “Fu un agguato organizzato. Tanti punti oscuri”. Replica l’ex presidente dell’associazione: “Basta, nelle carte nulla di nuovo”

Bologna, 5 gennaio 2025 – Cammina appoggiandosi al cardinale Matteo Zuppi mamma Anna Maria. Lui ha appena detto, nell’omelia, che la giustizia “infine è la verità sui tanti punti oscuri, che – e un po’ ferisce – ancora cerchiamo”. I punti oscuri sono quelli che costellano la parabola di sangue della banda della Uno Bianca, che dal 1987 al 1994 terrorizzò Emilia-Romagna e Marche. Sono quelli che ancora avvolgono in una nebbia fitta la sera del 4 gennaio del 1991, quando in via Casini, al Pilastro, furono trucidati i carabinieri Otello Stefanini, Mauro Mitilini e Andrea Moneta, “64 anni in tre”, come ricorda Anna Maria, mamma di Otello.

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Il cippo al Pilastro che ricorda Mauro Mitilini, Andrea Moneta e Otello Stefanini, uccisi la sera del 4 gennaio 1991

Trentaquattro anni dopo, mentre al Pilastro vengono deposte corone di fiori al cippo che ricorda i giovanissimi carabinieri, c’è un’inchiesta, aperta in Procura, che punta adesso a diradare quella nebbia: “Fu un agguato, i fatti lo dicono”, è sicuro Ludovico Mitilini, fratello di Mauro. È stato lui, assieme a un nutrito gruppo di famigliari delle vittime, a firmare l’esposto che ha dato input alle nuove indagini. E mentre il lavoro degli inquirenti “va avanti nel massimo riserbo, qualcosa si muove e questo ci dà speranza”, gli fa eco Alessandro Stefanini, fratello di Otello.

I punti oscuri partono proprio qui, da via Casini: “Non dovevano essere qui – spiega Mitilini –: negli atti che abbiamo acquisito c’era scritto che la loro doveva essere una vigilanza fissa. Invece vennero trovati molto distanti dall’obiettivo da controllare, le scuole Romagnoli. Impensabile che si spostassero di loro iniziativa”.

Nell’esposto, affidato ai legali Alessandro Gamberini e Luca Moser, i famigliari chiedono di sapere anche chi pose per primo l’attenzione sui Savi: “C’è una dichiarazione del ministro dell’Interno – prosegue Mitilini – che parla di una fonte diretta, un confidente: chiediamo che venga detto chi era, se aveva contatti con i Savi”.

Per i famigliari quella strage non fu frutto di un incontro casuale: “Fu un agguato: avevano armi potentissime, erano travisati, avevano pronta un’Alfa 33 per fuggire con un complice mai identificato. Loro pianificavano sempre. Credo che dietro ci siano mandanti e anche complici”. “Siamo fiduciosi che la verità venga a galla. C’è molto da scoprire –, le parole di Alessandra Moneta, sorella di Mauro –. Quando penso agli assassini, mi fa paura il mistero”.

Al centro di tutto, per il neo presidente dei famigliari delle vittime c’è una domanda: “Perché? Sono stati ricostruiti tutti i fatti – dice Alberto Capolungo –, ma non c’è mai una spiegazione. La certezza è l’effetto che quei mesi ebbero sulla popolazione: una paura collettiva. Terrorismo puro”.

E se il sindaco Matteo Lepore si unisce all’appello dei parenti a scavare ancora, c’è invece chi non vuol più aprire la pagina delle indagini, come la ex presidente dell’associazione (ora la vice), Rosanna Zecchi: “Ho sentito diverse voci, tra gli associati, dire che ’basta, non se ne può più’. E non hanno tutti i torti, bisogna dire. È un supplizio incredibile, incomprensibile per chi non lo vive. Andare avanti a indagare sarebbe come un tornare indietro. Io stessa ho studiato e ristudiato le carte e non ho mai trovato nulla di nuovo, è inutile andare avanti. Dicono non sia emerso tutto. Sarà anche così, ma se non è emerso fino a oggi, allora basta, inutile andare avanti. Già non ho dormito per tante notti, già ho battagliato tanto, ottenendo molto per gli associati. Con la mia coscienza sono a posto, ho fatto tutto quello che potevo”. E poi, “l’importante è che gli assassini siano in carcere. E speriamo ci restino”.