VALERIO BARONCINI
Cronaca

L’ultima sopravvissuta alla strage: “Gli aerei sopra Marzabotto, un uomo sulla porta: è l’unico ricordo di papà”

Giovanna Monti aveva 4 anni nel 1944: “Mio padre fu rastrellato il 29 settembre e poi fucilato. Il suo cadavere finì nel fiume. Per 40 giorni mamma e io dormimmo sulla bara: ma il corpo non c’era”

Bologna, 28 settembre 2024 – La generazione perduta è quella del 1944. I bambini di Marzabotto non ci sono più. Ammazzati, bruciati. Il più piccolo, Walter, aveva 14 giorni appena. Di molti non erano rimasti che schizzi di sangue sulle piume dei cuscini, nelle culle diventate tombe. Speranze cancellate dalla furia delle mitragliatrici delle SS naziste nella strage di civili peggiore d’Europa: era la fine di settembre, la regia del boia monco, Walter Reder.

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I pochissimi che si erano salvati – tra Sibano, Cerpiano, Caprara, Casaglia, qui nel parco di Monte Sole dove l’Appennino bolognese è strozzato fra le vallate del Reno e del Setta – avevano finto di essere morti. Oppure non erano stati notati dai tedeschi fra i cadaveri. O ancora erano rimasti, per caso, vivi in zone non scoperte. Una generazione perduta e una comunità perduta: 770 persone uccise in pochi giorni, 955 se si considerano gli eccidi fascisti, 1.830 il conto totale dei cittadini morti a causa della guerra.

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L'ultima sopravvissuta alla strage di Marzabotto, Giovanna Monti: aveva 4 anni

C’è una bambina, di quella generazione, che non si è perduta. Ha gli occhi profondi e la voce ferma. Si chiama Giovanna Monti, ha 84 anni e viene da Sibano. Ottant’anni dopo, per la prima volta, decide di raccontare la sua storia pubblicamente. La storia di una sopravvissuta.

Giovanna, che cosa ricorda di quei giorni?

“Io ero a Sibano, nella casa di famiglia. Ricordo poco perché avevo 4 anni. Ma c’è un’immagine che non dimenticherò mai, che mi accompagna sempre”.

Quale?

“Un uomo sulla porta d’entrata, la porta di casa. E intanto passava una formazione di aerei in cielo. Quell’uomo era mio padre. E questo è l’unico ricordo che ho di lui. L’unico”.

Perché?

“Mio padre fu rastrellato il 29 settembre 1944. Fu portato a Pioppe, rimase lì per tre giorni”.

Che cosa accadde?

“Il terzo giorno di prigionia, era una domenica pomeriggio, fu preso con altri 44, compresi due sacerdoti, e furono portati alla botte alla canapiera di Pioppe. Mio padre, dopo tre giorni di prigionia, con la testa quasi toccava per terra. Li avevano tenuti piegati in due, accartocciati su se stessi. Sulle ginocchia. L’avevano ridotto così”.

E quando arrivarono alla canapiera…

“I mitra SS erano già puntati sul terrapieno della ferrovia. Li misero attorno alla botte e li fucilarono. Dopo alcuni giorni qualcuno di Pioppe aprì le paratoie: i cadaveri finirono nel fiume”.

Lei e sua madre però siete sopravvissute.

“Tutto quello che so, lo so perché lei me l’ha raccontato. E ora io voglio raccontarlo a voi. Io dei ricordi vivi non ne ho, forse perché ero una bambina, forse perché li ho voluti dimenticare. Ma so quello che mi disse e fece mia madre”.

Per esempio?

“Per tanto tempo lei andò alla ricerca del corpo del babbo, perché sperava di trovarlo. Io e mia madre abbiamo dormito per 40 giorni sul feretro di mio padre nella speranza di trovarlo. E invece…”.

Non lo trovaste.

“No, no. Mi resta solo quell’immagine di lui: lui e gli aerei in formazione dietro”.

Adesso, dopo 80 anni, le guerre sono tornate.

“È un mondo ancora pieno di odio. Io ho una grandissima paura di una nuova guerra. Ho proprio paura”.

È il clima generale che la spaventa?

“E l’odio. Direi che non è bello”.

Ma lei oggi riuscirebbe a perdonare per quello che è accaduto? Per due volte Marzabotto ha detto no al perdono.

“Io con la Germania di oggi sono tranquilla. Sono a posto con la Germania di adesso. Con quelli che hanno commesso tutti questi delitti, beh, non dico che li ho perdonati... Dico che capisco che fossero venuti qua con quell’orientamento. Ma c’è stata troppa morte. È dura”.