Strage, la difesa Bellini: "Non era lui l’aviere che portava la bomba, non ci sono le prove"

Le arringhe degli avvocati Capitella e Fiormonti in Corte d’appello "Il nostro assistito con la stazione non c’entra, merita l’assoluzione. Non bisogna farsi condizionare dal suo percorso criminale".

Strage, la difesa Bellini: "Non era lui l’aviere che portava la bomba, non ci sono le prove"

Strage, la difesa Bellini: "Non era lui l’aviere che portava la bomba, non ci sono le prove"

"Non c’è nessun riscontro oggettivo che ci riporta a Paolo Bellini" per quel che riguarda l’intercettazione ambientale del gennaio 1996 nella quale Carlo Maria Maggi, ex leader di Ordine nuovo, parla con il figlio di un "aviere che portava una bomba". A dirlo è l’avvocato Antonio Capitella che, insieme al collega Manfredo Fiormonti, difende l’ex Primula nera, Paolo Bellini, nel processo d’appello che lo vede imputato per concorso nella strage del 2 agosto 1980. Nell’attentato alla stazione morirono 85 persone e oltre 200 rimasero ferite.

Per il legale dell’ex Avanguardia Nazionale, da quella conversazione non emergerebbero elementi che consentano di affermare che l’aviere in questione fosse Bellini, nonostante quest’ultimo avesse il brevetto da pilota. Secondo Capitella, l’aviere a cui faceva riferimento Maggi poteva essere Elio Massagrande, tra i fondatori di Ordine nuovo. "La Corte d’Assise non si è posta il problema, allora lo poniamo noi: l’aviere poteva essere Massagrande". Cercando di smontare gli indizi a carico del suo assistito e la tesi della Procura generale sul coinvolgimento di vari gruppi di estrema destra nella strage del 2 agosto, il legale definisce poi "una ricostruzione fantasiosa quella secondo cui i Servizi segreti avrebbero coordinato questi gruppi".

Avviandosi verso la conclusione della sua arringa e dopo aver citato la frase di San Paolo "ho combattuto la buona battaglia", Capitella ha dichiarato: "Per me la buona battaglia è stata difendere un imputato che ritengo non colpevole, ho confermato la fede nella giustizia, quindi vi prego di fare giustizia riformando la sentenza e assolvendo Paolo Bellini". Durante l’arringa Bellini ha polemizzato con la Corte, minacciando di lasciare l’aula, sostenendo che uno dei giudici popolari era distratto al cellulare. Dopo Capitella, è stato Manfredo Fiormonti a prendere la parola: "Qui c’è una affannosa ricerca non della verità – le sue parole – ma di una verità. Non fatevi ingannare dalla storia criminale e malavitosa di Bellini, qui lo giudichiamo per la strage". In primo grado l’ex Avanguardia Nazionale è stato condannato all’ergastolo.

"Su tutto il processo si è riverberata una genericità dell’accusa – continua Fiormonti – e la sentenza di primo grado si è adeguata, cercando anche di puntellare la tesi dell’accusa. E questo è un problema che si origina all’inizio del processo, già dal capo di imputazione. Dalla forma dell’imputazione dipende la sostanza del processo. L’imputazione contro Bellini è generica e si è cristallizzata nel dibattimento". E ancora: "La genericità dell’accusa si coglie nel tentativo di attribuire a lui stesso il ruolo di concorrente di altri soggetti. È pacifico che per parlare di concorso, il soggetto deve aver portato un contributo al fatto. Ma per individuare la responsabilità penale, il giudice deve trovare il collegamento tra i soggetti. La sentenza di primo grado fa dei salti logici e sul punto non ha dato risposte".

Nella prossima udienza dell’8 luglio, nella quale forse Bellini farà delle dichiarazioni spontanee, la Corte si riunirà in camera di consiglio per emettere sentenza. Nel processo sono imputati anche Piergiorgio Segatel per depistaggio e Domenico Catracchia per false informazioni al pm.

c. c.