CHIARA CARAVELLI
Cronaca

Strage, la condanna di Cavallini: "Pronti ad appellarci alla Corte Ue se la Cassazione la confermerà"

I legali dell’ex Nar: "Vizi radicali gravissimi, un giudice europeo non può ritenerlo un procedimento giusto"

Strage, la condanna di Cavallini: "Pronti ad appellarci alla Corte Ue se la Cassazione la confermerà"

"Quanto alla violazione dell’articolo 649 del codice di procedura penale (sancisce il divieto di nuovo giudizio per l’imputato assolto o condannato in via definitiva per lo stesso fatto, ndr), poiché nel primo processo per la strage di Bologna, Cavallini era stato imputato e condannato per banda armata finalizzata anche alla commissione di reati di strage, tra i quali si elencava proprio quella del 2 agosto, sulla base dei medesimi elementi di prova per i quali ora viene chiamato a rispondere della strage stessa, si evidenzia che la medesimezza del fatto storico va valutata in relazione a tutte le componenti giuridicamente rilevanti". Nelle quasi 400 pagine di motivazioni alla sentenza con cui la Corte d’Assise d’appello, il 27 settembre scorso, ha confermato l’ergastolo all’ex Nar Gilberto Cavallini accusato di concorso nella strage del 2 Agosto 1980, i giudici si soffermano sulle questioni di natura processuale evidenziate dalla difesa nei propri motivi d’appello.

"Nel caso di specie – così i giudici – a tutto concedere, alle medesimezza della condotta già valutata ai fini del reato di banda armata per cui vi è stata condanna del Cavallini, si aggiunge (nella contestazione) il diretto nesso causale con due eventi (il fatto di strage e quello di omicidio plurimo), mai contestati e mai valutati nella sentenza di condanna già emessa".

Si tratta di uno dei punti che gli avvocati della difesa sottoporranno all’attenzione della Suprema Corte nel loro ricorso: "Per quanto mi riguarda – così il legale Gabriele Bordoni che, insieme al collega Alessandro Pellegrini, assiste l’imputato – non entrerò in tematiche di merito. Dall’altro lato, penso che sia doveroso soffermarsi su quelle questioni processuali di integrazione probatoria e di natura tecnica sulla validità di certi verbali, sulla costituzione di parte civile, sul ne bis in idem e sui limiti della riapertura del procedimento, che erano stati i punti sui quali io avevo sempre battuto e che anche nella sentenza di appello vengono affrontati in maniera superficiale".

Per quanto riguarda la costituzione di parte civile (la difesa aveva chiesto l’esclusione di tutte le parti civili in quanto non avevano notificato la loro costituzione al Comune di Milano, che dal 1989 e fino al primo grado è stato tutore legale di Cavallini), i giudici della Corte presieduta da Orazio Pescatore sostengono che "le modalità di promozione dell’azione civile in sede penale prevedono la possibilità per la parte civile di costituirsi direttamente in udienza, ove è presente sempre e unicamente l’imputato (anche se interdetto legalmente) e mai il suo tutore, il che implica necessariamente la possibilità che l’azione civile possa essere azionata direttamente nei confronti del solo imputato ancorché in condizioni di interdizione legale". Ne consegue, continua la Corte, "la piena legittimità processuale a resistere dell’imputato in condizioni di interdizione legale alla costituzione di parte civile altrui".

Per la difesa si tratta di un "processo inquinato da vizi radicali gravissimi sul piano processuale": un tema, questo, che verrà sicuramente esaminato dalla Cassazione e che, a seconda della decisione che verrà poi adottata, l’avvocato è pronto a portare a Strasburgo all’attenzione della Corte europea dei diritti dell’uomo. "Non posso immaginare – prosegue Bordoni – che nemmeno il giudice europeo possa ritenere un processo giusto quello che viene celebrato, con sentenza definitiva, 45 anni dopo i fatti senza ammettere l’imputato a nessuna integrazione probatoria e a un confronto con i suoi accusatori diretti". Secondo la difesa, inoltre, Cavallini non è stato messo nelle condizioni processuali adeguate dal momento in cui "era stato incidentalmente assolto nel primo processo, archiviato, riaperta l’indagine per approfondire dieci testimoni che erano tutti deceduti e quindi non si era arricchito di un millimetro il quadro probatorio che era stato vagliato in precedenza".