GIOVANNI ROSSI
Cronaca

Strage Bologna, l’ex senatore Pellegrino: "Ora la verità sui mandanti. E va cercata nelle carte dei servizi britannici"

L’ex presidente della Commissione Stragi: non basta il nome degli esecutori. "Gli interessi atlantici in Italia sono sempre stati garantiti da Londra"

Roma, 3 agosto 2024 – “Ogni inizio di agosto, nella mia mente, si rinnova la domanda ultima, quella cui neppure le sentenze hanno dato risposta: perché?". Giovanni Pellegrino, 85 anni, giurista di lungo corso e parlamentare di Pci e Pds, per sette anni alla guida della Commissione bicamerale d’inchiesta sul terrorismo e sulle stragi dal 1994 al 2001, continua a porre la questione fondamentale: quale è la ragione della mattanza di Bologna. E dei suoi 85 morti. La chiama strage "fascista". Fascista e basta. Senza prefisso. E in modo altrettanto energico aggiorna i suoi dubbi.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il presidente del Senato Ignazio La Russa parlano di attentato ‘attribuito’ dalle sentenze a una matrice “neofascista”. Il Comitato vittime contesta. E lei?

"Preferisco puntare alla sostanza. Che la strage sia “fascista“ e opera di “fascisti“ ormai è acclarato. E averlo stabilito non era scontato. Tutte le tessere dei tanti processi sono andate dopo tanti anni al loro posto. Ora conosciamo gli esecutori. Ma ci sfugge il disegno. È su quello che dobbiamo concentrarci".

Giovanni Pellegrino, ex presidente della Commissione Stragi, è stato senatore di Pci e Pds per quattro legislature
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Dov’è il filo che non si trova?

"Pensare alla strage di Bologna come l’ennesimo remake di Piazza Fontana e degli altri attentati eversivi è un vicolo cieco".

Anche valutando il contesto internazionale?

"Tutti i Paesi ritenuti potenzialmente instabili da Washington nel 1980 sono ampiamente allineati. Dalla Grecia, tornata in democrazia dopo il colpo di Stato dei colonnelli, al Portogallo, uscito dalla dittatura salazarista. E l’Italia, dopo il rapimento Moro del 1978, non fa eccezione. Sono anni intensi. Anni di cambiamento. Nella società e nella politica. L’Italia del 1980, l’anno della strage, è già molto diversa anche solo da quella del 1979".

La descriva.

"Non c’è nessun rischio comunista. Il sistema politico ha già compiuto la sua rituale virata a destra. Chi teme una perdurante anomalia italiana è già ampiamente rassicurato. Secondo logica, basta bombe. Siamo già in un altro mondo. Anche gli apparati – almeno questo è il mio parere personale – non hanno interesse a un evento così deflagrante. Uno come Federico Umberto D’Amato, ex capo dell’Ufficio affari riservati del ministero dell’Interno, aveva già ordito le sue trame".

Secondo la procura generale di Bologna, che non ha potuto procedere perché tutti i sospettati sono morti, i mandanti erano quattro: Licio Gelli, Umberto Ortolani, Mario Tedeschi e per l’appunto D’Amato .

"Nonostante l’iscrizione alla P2, D’Amato come mandante non ce lo vedo".

E chi vede?

"Licio Gelli, lui sì. Perché poteva avere l’interesse ad alzare la posta. E a mandare un segnale a Francesco Pazienza, che lo stava soppiantando nella parte deviata del Paese".

Ottantacinque morti per mandare un segnale?

"Non solo. Dobbiamo per forza ipotizzare una finalità o una ragione ultima che nessuno – magistrato, storico o politico – è per ora riuscito a definire".

La desecretazione degli atti classificati operata dal governo può aprire nuove piste?

"Bisognerebbe avere una priorità di ricerca".

Non sembra ottimista.

"Io credo che più che alla desecretazione degli atti italiani dovremmo guardare a quelli del Regno Unito".

Perché?

"Noi italiani abbiamo la tradizione di considerare la Cia come principale agente di tutela degli interessi atlantici nel nostro Paese. Ma in Italia, sul campo, le carte le hanno sempre date gli inglesi. É a Londra che la verità va cercata".