NICOLA BIANCHI
Cronaca

Strage 2 agosto Bologna, quel cratere dimenticato tra le erbacce dei Prati di Caprara

Insegne, ruote, frammenti del vecchio pavimento della stazione: il nostro reportage. L’esplosivista Coppe analizzò i reperti nel 2018, ma poi furono lasciati tra la vegetazione

Bologna, 12 giugno 2023 – Quarantatré anni dopo l’orrore, sono ancora lì. Nel cratere che oggi si mostra ai nostri occhi. Nascosti tra la boscaglia e l’erba alta, letteralmente mangiati dalla terra e dalle intemperie. Simboli dell’incapacità di uno Stato di conservare la propria memoria. Quella della strage alla stazione del 2 agosto 1980, quando una maledetta bomba spazzò via la vita di 85 persone e ne ferì oltre 200. Tre le sentenze definitive: ergastolo a Francesca Mambro e al marito Giusva Fioravanti, 30 anni all’altro ex Nar Luigi Ciavardini. Poi Gilberto Cavallini, fine pena mai in primo grado e con un processo d’appello in fase di discussione, e l’ultimo condannato (primo grado, altro ergastolo), Paolo Bellini di Avanguardia Nazionale.

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Memoria dimenticata

Scriveva Oscar Wilde che "la memoria è il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé". Memoria che, nel 1980, venne invece abbandonata all’interno dell’area riservata all’ex caserma San Felice di via Prati di Caprara. In tutto 47mila metri quadrati di foresta ed edifici fatiscenti, dove un tempo si esercitavano i carri armati e oggi invece gli animali selvatici scorrazzano liberi, dal 16 settembre 2016 acquisiti dal fondo immobiliare Invimit (via Mef) che ci ha guidato nei meandri del nulla. Fino al cratere. E ai resti, riportati alla luce per la prima volta nel 2018 dall’esplosivista Danilo Coppe, incaricato dall’Assise che stava processando Gilberto Cavallini di fare una perizia alla ricerca di prove dell’ordigno. Tutto, poi, sparì nuovamente, inghiottito una seconda volta dalla vegetazione. "Da apposito sopralluogo – scrisse il Demanio alla Procura nel 2018 – è risultato che le macerie depositate nel settembre 1980 si trovano ancora nel sito, nel lato nord ovest al confine con il muro di cinta e l’ingombro può essere stimato in 80 metri di lunghezza, tre di larghezza e uno e mezzo di altezza". Il materiale, fu l’aggiunta, "non è coperto e conseguentemente è stato esposto in questi anni alle intemperie meteorologiche e alla spontanea crescita di vegetazione; attualmente l’accesso all’area risulta altresì difficoltoso se sprovvisti di mezzi".

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Il 'tesoro’

Destino opposto a quello riservato ai resti di un’altra strage, quella di Ustica con i rottami del Dc9 custoditi da anni in un museo. Nel 2006, inoltre, al termine di una fase processuale, si decise di distruggere molti dei reperti raccolti all’epoca della strage. "Per poter realizzare lo smassamento, è stata necessaria una intensa opera di deforestazione dell’area ai Prati di Caprara", spiegò Coppe, sentito in occasione del processo all’ex Nar Cavallini, il quale confidò il ritrovamento "di diversi frammenti ossei", oltre ad altro materiale "molto interessante". Oggetti – confermati dallo stesso Coppe – che abbiamo visto con i nostri occhi alcuni giorni fa durante il sopralluogo. Ecco allora una matassa di ferraglia con una forbice arrugginita, un cacciavite, due pale di badili, un cerchione in ferro riconducibile a un mezzo ferroviario, alcune piccole ruote, pezzi di pavimentazione che molto ricordano quella originale della stazione, bulloni, chiodi. E ancora, una targhetta con la scritta ’Transport’ e parti di copertura. Dal cuore del cratere, sotto la terra, spuntano invece decine e decine di pezzi di ferro ancorati a parti di traversine in cemento e colonne. "Lì – diceva ancora l’esplosivista – si possono ritrovare parti dei muri della stazione, annerite e distrutte dal tempo". "Se lo Stato doveva conservare le macerie – chiosò in passato Paolo Bolognesi, che con l’Associazione dei parenti delle vittime mai riuscì ad arrivare al cratere e ai resti –, almeno poteva coprirle e gestirle in modo dignitoso". Non lo fece, mostrando la sua totale incapacità.