Quando si è innamorato delle piante? Stefano Mancuso se la ride: "È un amore adulto, anche se gli alberi mi sono sempre piaciuti fin da bambino. Li ritenevo, però, esseri incapaci. Dopo la laurea, mi sono ritrovato a osservare per ragioni di studio le radici e ho scoperto che erano in grado di superare qualunque ostacolo. È stata una svolta". È partita così l’appassionante avventura del fondatore del laboratorio di Neurobiologia vegetale, o meglio del docente universitario capace di svelarci l’universo insospettato legato all’intelligenza del mondo vegetale. Autore di molti saggi scientifici, Mancuso, autentica icona degli ambientalisti, ha deciso di divulgare il senso dei suoi studi in modo popolare e immediato anche attraverso la formula del romanzo magari fiabesco e avventuroso. Così, dopo ‘La tribù degli alberi’, arriva adesso in libreria un secondo volume, ‘La versione degli alberi’ sempre edito da Einaudi che ne rappresenta un po’ la continuazione. Ci sono gli stessi personaggi-alberi, Laurin, Lisetta e Pino, ma la vicenda nel mondo di Edrevia cambia. Perché la crisi climatica impone alla tribù verde di cercare un’altra casa: è l’occasione per scoprire nuove società e nuovi modelli di vita, per attraversare deserti e scalare montagne, per abbracciare il diverso. Mancuso presenta il suo romanzo stasera alle 18,30 al Mast nell’ambito de ‘La voce dei libri’. Dunque, il professore allarga i confini alle comunità della Macchia e dei Fitonidi, alla Microvalle con la sua portentosa biblioteca-labirinto e alla cupa terra dei Valdora dove gli alberi sono diventati materia prima degli ‘esseri dannosi’. Mancuso, come definirebbe il suo libro? Un apologo o un racconto picaresco? "È un romanzo di viaggio dove i tre alberi protagonisti vanno in cerca, a causa del riscaldamento globale, di un luogo sicuro. E in questo tragitto incontrano una serie di comunità diverse dalla propria con cui hanno molte cose comuni, pur con altri usi, costumi e lingua. Le piante, contrariamente agli uomini, trovano naturale aiutarsi e stare insieme. E questo non per bontà ma per sopravvivenza".
Nel suo racconto non compaiono gli uomini? "Sono presenti attraverso le azioni dannose che compiono. Il libro vuole parlare, attraverso gli alberi, di noi e della nostra profonda stupidità. Non c’è morale ma solo avventura... Ho scelto la formula del romanzo perché è più facile convincere la gente con l’immaginazione che con i numeri o con la logica".
Se nel pianeta gli animali rappresentano il 3% e le piante il 97%, significa che il mondo naturale è molto più intelligente di noi? "è così. Da 450 milioni di anni fa ad oggi la situazione è radicalmente cambiata e quindi qualcosa ci sfugge. Se la maggioranza della vita è vegetale non può essere per caso. Ho scritto questo libro soprattutto per i ragazzi perché da docente universitario mi rendo conto che, al di là di quel che si crede, solo un numero residuale di loro è interessato a questi argomenti".
Cosa possiamo fare per prendere coscienza del disastro ambientale? "Ci dobbiamo convincere che siamo entrati in un mondo diverso da quello che conosciamo e che non possiamo immaginare il futuro sulla base del passato. Quello che è capitato a Bologna e in Romagna lo dimostra. Il fatto che in Italia siano accaduti in due anni 44 fenomeni estremi dimostra che è arrivata una nuova normalità, che non riusciamo a vedere perché la nostra specie non l’ha mai conosciuta. Più che il Pil bisognerebbe tener d’occhio l’indice di anidride carbonica nell’atmosfera...".