Bologna, 23 novembre 2022 - "Il mio profilo è aperto a tutti, anche alle ragazze che non sono musulmane e che non portano il velo. E dico a loro che, se non lo fanno, non stanno sbagliando". L’ingresso sul palco di Aida Diouf Mbengue è stato salutato ieri con un urlo simile a quelle delle fan dei Duran Duran, a Birmingham, nel 1983. Un’iperbole è un’iperbole, ma il senso di attaccamento dimostrato ieri dai ragazzi alle parole della TikToker bergamasca, la prima in Italia a farlo portando il velo, è stato pari solo alla bellezza della timidezza della stessa Aida, ascoltata in religioso silenzio.
Braccia conserte, le sue, e un messaggio semplice semplice: amatevi per quello che siete, io vi porto la mia storia "pensando all’esempio che mi ha dato la mia mamma, è per questo che porto il velo". In viola, abbinato al resto dell’outfit perché "può essere un opportunità anche per appoggiarsi alla moda, il velo". E giù applausi, il metro esatto di un mondo che cambia e che corre molto più veloce delle leggi di civiltà che attraversano con molta fatica le commissioni parlamentari.
Aida ha dato luce al buio della sala. Ma come lei tutti gli altri invitati all’evento ‘Bolognesi dal primo giorno’, al Teatro delle Celebrazioni per celebrare, appunto, il varo dello Ius Soli alla bolognese, non hanno avuto meno applausi dalle scolaresche. E’ il caso, ovviamente, di uno degli influencer più celebri per gli adolescenti di oggi, Luis Sal, acclamatissimo. Che ha portato con sé la testimonianza dell’amico Advia, arrivato in Italia via mare nel 1997, quando sua madre era incinta. Il giovane bengalese ha raccontato la sua esperienza di "struggle (lotta) quotidiana" con la burocrazia italiana, di aver dovuto "fare da traduttore ai suoi genitori per il permesso di soggiorno" e di "aver faticato 18 anni per ottenere la cittadinanza". Storie quotidiane di tanti stranieri, anche ragazzi, costretti a lunghe file per ottenere certificati dalle questure. E alla domanda alla platea su quanti ragazzi attualmente facciano da ponte con gli uffici viste le carenze linguistiche dei genitori, venti braccia si sono alzate.
"Che Bologna faccia una cosa così è bellissimo perchè rende la città sempre più al passo con i tempi", la chiosa di Sal, preceduto di qualche decina di minuti dall’ascolana di origini congolesi Marianna ‘The Influenza’: "Ho studiato e sempre vissuto in Italia, non sapevo neanche cosa fossero Ius Soli e Ius Sanguinis fino a che non ci ho sbattuto la faccia alle superiori, non potendo partecipare ad un viaggio premio all’estero". La domanda finale: "Quanti di voi, ragazzi, sui social seguono progetti di cittadinanza?". Alzano la mano in cinque, si leva qualche voce: "Sono noiosi". Insomma, la cittadinanza forse si assimila meglio attraverso la musica. Il caso, plastico, è l’arrivo in chiusura del rapper Tommy Kuti, che fa ballare tutta la sala e i cellulari si illumano come in uno stadio. "Ho la pelle scura, l’accento bresciano, un cognome straniero e comunque italiano", e l’Afro Beat viaggia come un libretto della Costituzione italiana. Al principio invece c’era stata la storia dell’attore Shi Yang Shi, che ha racconta lo ‘stritolamento’ tra le due culture, cinese e italiana. Passano foto di lui da bambino. "Bisogna imparare ad amarsi", poi forti critiche al leader Xi Jinping. Per Leila Belhadji, infine, "l’identità non è una, noi siamo tante cose. I libri di storia vanno modificati, i genocidi in Africa non li conosciamo e ci raccontano che abbiamo portato le strade". E giù applausi su applausi, il mondo corre.