Bologna, 12 febbrai 2021 - Il mondo dei libri e dei social, che sono entrambi menzogna e sortilegio. E la letteratura che nutre anche i sogni, che viaggiano veloci sotto i portici. È una Bologna che mantiene le promesse quella di Silvia Avallone, scrittrice approdata in questo ‘porto’ 17 anni fa per non lasciarlo più. Intanto sono sbocciati i suoi romanzi, di cui l’ultimo Un’amicizia (Rizzoli), alla settima ristampa. Ritroviamo due amiche, il fuoco dell’adolescenza e la nostra città. Quel luogo in cui si diventa grandi. Silvia, come stanno Elisa e Beatrice? Di strada ne hanno fatta parecchia. "Stanno benone, hanno riscosso tantissimo affetto da parte lettori, che si sono immedesimati. Questo è un romanzo intimo, ma non autobiografico, nonostante la presenza dei miei luoghi e dei miei autori preferiti. Ci sono gli anni in cui sono cresciuta e le domande che mi sono posta anche io. La rivoluzione digitale, entrata nelle nostre case e nel nostro modo di percepirci, è un tema che tocca tutti. Un mondo intero è finito con l’arrivo della tecnologia nella vita quotidiana: si è modificato il paesaggio urbano. Per me è diventato un discorso personale ricostruire la mia anima attraverso questi cambiamenti". Lei come vive i social? "Dobbiamo diventare adulti nel loro utilizzo. La pandemia ha dato una bella sterzata. I social che ho criticato e che alimentavano l’infelicità collettiva non ci chiamavano a una rete, ma a farci competere uno contro l’altro. Un’esperienza di dolore, però, ti fa ricercare umanità, dialogo e ti fa reagire: in questi mesi ho sentito una fame in più degli altri e questo mi è piaciuto". Gli adolescenti di oggi possono costruire amicizie così intense o, crescendo a colpi di chat, ci si perde qualcosa? "Incontro i ragazzi da remoto e le loro osservazioni sul romanzo mi hanno confortata. L’adolescenza è mitica per ogni generazione, ma ci sono componenti universali, come il bisogno di legami assoluti, il rispecchiarsi nell’altro e cercare se stessi all’interno di un rapporto grandioso. Vivere le proprie passioni per la prima volta rende l’adolescenza costantemente magica. Poi gli adolescenti sono fatti per uscire di casa, cercare la propria strada e la pandemia ha chiesto loro un sacrificio immenso. Ma ogni vuoto, se riempito di creatività, può essere una risorsa. Però siamo noi adulti a dover mettere al centro i giovani e la scuola". E qui viene da pensare alla Dad, la didattica a distanza... "Insegnanti e ragazzi mi hanno raccontato anche esperienze positive, ma ho raccolto testimonianze di una grande fatica, di adolescenti e presidi che si sono fatti in quattro e questo è uno sforzo meraviglioso. Però non dobbiamo dimenticare tutte le persone senza Internet a casa, in situazioni di disagio: se non interviene la scuola, cosa può farlo? Si cresce dentro la presenza, che deve essere incoraggiata e tutelata, in condizioni di sicurezza. È mancato questo sforzo, perché veniamo da decenni in cui non si è investito nelle competenze e nell’educazione civica e la pandemia ha fatto esplodere questa enorme carenza. La Dad è una sperimentazione da cui trarre cose positive, ma la scuola è un luogo fisico". Lei è stata appena nominata nel comitato scientifico delle Biblioteche cittadine. "Sono felicissima e onorata, la biblioteca è un luogo che deve essere aperto a tutti. È un avamposto culturale per creare coesione sociale; vorrei un libro che ’abitasse’ tutta la città. Aprire un libro è prendersi cura della storia di un altro e capire la propria. Quando sono arrivata qui ricordo anzitutto le biblioteche: sembravano templi maestosi". Com’è il suo sguardo sulla città oggi? "Sono e sarò sempre l’universitaria fuorisede. Dal 2003 ho vissuto anni meravigliosi grazie agli studentati: stare assieme a ventenni da tutta Italia ha inciso profondamente, mi ha dato tanta fiducia. Bologna è un porto, una città di mare senza mare, che ti accoglie e ti dice ‘qui puoi giocarti il tuo destino’. È il luogo della cultura e della libertà che ti dà la cultura. Si bada alle parole, all’arte, meno all’aspetto esteriore. Era un mito, a Biella e a Piombino: Bologna era la città delle sperimentazioni, un laboratorio culturale, con attenzione al sociale. Penso a un’associazione come CucciolO, che al Sant’Orsola supporta le famiglie dei bambini nati prematuri". Quali sono i suoi luoghi? "Il luogo del cuore dell’età adulta, e da mamma, è Villa Ghigi: non ci ero mai stata e dalla fine del lockdown è meta di ogni fine settimana. Il primo è Largo Trombetti, sede del mio terzo studentato, dove ho passato fra gli anni più belli della mia vita". Dove si può migliorare? "Mi giocherei tutte le carte su tre parole chiave: cultura, istruzione e periferia. Quando sarà possibile la città merita un meraviglioso turismo culturale. Bologna incarna il mio ideale, di una cultura che dà lavoro e crea uguaglianza". La periferia bolognese è centrale in uno dei suoi romanzi. "Vorrei che il concetto di periferia sparisse, che si parlasse di città polifonica, con realtà interconnesse. Ho vissuto a Casteldebole e mi piace che ci siano tanti punti di osservazione, pieni di vita e progetti, e che ogni quartiere abbia il suo carattere. Deve esserci l’obiettivo, urbanistico e culturale, di creare collegamenti: ogni persona che abita un luogo deve sentirsi al centro". Dove ci sposteremo nel prossimo romanzo? "Questo libro è stato liberatorio, ho detto addio all’adolescenza e a tante paure. Ora mi sento pacificata, e libera di esplorare luoghi nuovi, con calma, perché ho bisogno di vivere prima di scrivere".
CronacaSilvia Avallone: "Bologna da sempre un mito"