NICOLETTA TEMPERA
Cronaca

Sfruttamento del lavoro. I brand di lusso nella rete di ‘Sabrina’

Così si faceva chiamare l’imprenditrice cinese finita alla Dozza. Agli atti intercettazioni in cui si lamenta dei prezzi imposti da Imperial. .

Sfruttamento del lavoro. I brand di lusso nella rete di ‘Sabrina’

Yi Chen per tutti è Sabrina. E già dalla scelta di cambiare nome si evince la voglia di allontanarsi dallo stereotipo dell’imprenditore cinese ‘vecchio stampo’. Cresciuta a Bologna, la donna, ritenuta titolare di almeno cinque aziende manifatturiere, per i finanzieri era riuscita negli anni a sviluppare una rete corposa di contatti con importanti realtà del settore della moda ‘made in Italy’; realtà che, secondo le indagini sviluppate dalla Guardia di Finanza, che hanno portato mercoledì all’arresto della trentunenne e di altri tre connazionali, si servivano abitualmente dei suoi servizi. Non solo la ditta di pronto moda Imperial Srl, del Centergross, travolta dall’inchiesta coordinata dal pm Tommaso Pierini; ma, come scrive il gip Domenico Truppa nell’ordinanza, "ulteriori contatti rilevanti erano quelli tra la Chen e le diverse società che riforniva, tra le quali Dixie Srl, Marella Srl, Novantanove Srl, Tenax.it Srl, Betty Blue Spa, Simi Srl, B&G Srl, P&C Srl".

Tutte realtà estranee alle attuali indagini delle Fiamme Gialle, ma che tuttavia dimostrano la capacità di penetrazione, nel tessuto economico locale, dell’imprenditrice e dei suoi ‘colleghi’. Una capacità che emergergerebbe anche dalle intercettazioni, in cui un altro degli arrestati, Jie Xu (alias Francesco) affermava di "dover tirare fuori una linea per Vuitton". Affermazioni da verificare, che comunque non coinvolgono in nessun modo il marchio di lusso nel contesto dell’indagine per sfruttamento del lavoro.

Un’accusa, di cui rispondono in nove, che nasce a seguito di un anno di accertamenti tecnici e di controlli negli opifici. Agli atti dell’inchiesta ci sono anche conversazioni intercettate "nelle quali – scrive il gip – Chen Yi dava ordini perentori". E sarebbe stata sempre lei a fare i colloqui agli aspiranti operai, informandoli "che l’orario lavorativo sarebbe stato di 14 ore al giorno, con paga di circa 80 euro al giorno, meno le spese per l’alloggio" all’interno dello stesso opificio. Quindi, riassume il gip, "meno di 6 euro all’ora con le spese di alloggio da pagare".

Condizioni di sfruttamento che, argomenta la Procura e il gip accoglie, erano ben note ai due manager di Imperial, per cui è stata disposta la misura dell’interdizione: oltre a varie intercettazioni, dalle quali, scrive Truppa, "è agevole desumere che gli indagati non solo erano a conoscenza delle dinamiche delle aziende cinesi, ma anche delle condizioni a cui soggiacevano i lavoratori", emerge anche come uno dei due manager, il 28 marzo scorso, sia stato ripreso dalle telecamere mentre si recava nell’opificio di Granarolo "e vi permaneva per 52 minuti. Tale circostanza – considera il gip – lascia fondatamente presumere che l’indagato si sia trattenuto nei locali della ditta prendendo ampia cognizione delle condizioni di lavoro dei dipendenti". Infine, ritengono i finanzieri - e si lamentano gli stessi imprenditori cinesi indagati - sarebbero stati proprio i dirigenti di Imperial a fissare i prezzi, "prezzi stracciati", si lamentavano Chen e l’altro arrestato, Shangwei Zhou, "imposti dalle politiche di Imperial che si traducono nella manodopera a basso costo". Contestazioni rigettate in toto dagli avvocati Gino Bottiglioni e Gabriele Bordoni, che difendono i manager del brand bolognese che potranno oggi rispondere punto per punto al giudice. "Sulla base di una serie di documenti che crediamo essere concludenti – spiega l’avvocato Bordoni – siamo certi di poter dimostrare l’inconsapevolezza del mio assistito di quanto avvenisse nei capannoni e delle modalità di lavoro degli operai".