Ha atteso che il compagno andasse nella sala ricreativa, lasciandolo solo nella sua cella della sezione ordinaria della Dozza, e si è tolto la vita impiccandosi. E’ morto così, nella tarda mattinata di un’afosa domenica di luglio, Lul Zim Musta detto Luli, albanese di 48 anni. Quando gli agenti della polizia pentenziaria e il personale sanitario sono intervenuti non c’era già più nulla da fare. Il 48enne era in attesa di giudizio per tentato omicidio ed era finito in carcere il 27 maggio dopo avere accoltellato la titolare 66enne dell’Hotel Il Gallo di Castel San Pietro, dove l’albanese aveva in precedenza lavorato per un anno come tuttofare. L’ex dipendente all’improvviso l’aveva colpita con otto coltellate. Poi era rimasto sul posto, come inebetito, aspettando che i carabinieri giungessero ad ammanettarlo, aprendo bocca solo per sussurrare: "Mi hanno detto di farlo".
I fantasmi di una vita ai margini l’hanno accompagnato e tormentato fin dentro la sua cella, dove ieri si è consumato il tragico epilogo. "Si tratta del 58° suicidio di un detenuto dall’inizio dall’anno, cui bisogna aggiungere 2 omicidi e 63 decessi per altre cause, nonché 6 appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria che si sono tolti la vita. Insomma, ormai più che di carceri si rischia di dover parlare di camere mortuarie", così Gennarino De Fazio, Segretario Generale della Uilpa Polizia Penitenziaria, commenta l’accaduto.Lo scorso 21 marzo alla Dozza si era tolta la vita una detenuta slovacca di 55 anni, inalando il gas della bomboletta per cucinare. Tre giorni dopo un’altra donna che aveva tentato di impiccarsi era stata salvata da un agente della polizia penitenziaria e altri operatori avevano sventato il suicidio di un uomo a inizio maggio. Uno stillicidio senza fine.