Bologna, 9 dicembre 2023 – “Bologna, serve più coraggio". Lorenzo Sassoli de Bianchi sprona la città e la sua amministrazione a osare, immaginare, "andare oltre il contingente, il ’qui e ora’, per progettare davvero il futuro. Solo i pesci morti seguono la corrente...". La sua visione è quella di un imprenditore che fondò la Valsoia nel 1990, molto prima che arrivassero i vegani e la tendenza all’alimentazione salutista, e nel suo curriculum s’incrociano più vite.
Neurologo e appassionato d’arte, è stato al vertice di istituzioni culturali e musei (Mambo e Museo Morandi). Oggi guida Upa (l’associazione che raccoglie gli investitori in pubblicità) e Ica Milano, l’Istituto per Arti contemporanee, e scrive romanzi. Mettendo insieme il pragmatismo del manager e la creatività che fa parte del suo vissuto, pensa alla Bologna che verrà. Al 2024, certo, "che temo sarà dominato da incertezza ed emotività". Ma lo sguardo è più lungo, con un pensiero fisso che va alla Garisenda, la ’grande malata’: "Se fossi il sindaco non ci dormirei la notte... – ammette Sassoli de Bianchi – Ma può essere anche un’occasione per organizzare una grande gara internazionale". Un tassello della città del futuro che si delinea "rilanciando l’aeroporto, gestendo il turismo, mettendo al centro la cultura, e puntando sullo sport".
Lei lanciò l’idea delle universiadi che, purtroppo, non fu raccolta con convinzione. Stavolta cosa sta pensando?
"Siamo Basket City, proviamo a candidarci a ospitare gli Europei o i Mondiali di pallacanestro. Abbiamo due Palazzetti, che speriamo presto diventino tre (con la nuova Arena della Virtus in Fiera, ndr ), ma nessuno ha mai pensato di ospitare le fasi finali del basket internazionale. Come Italia potremmo proporci in un tandem Bologna-Milano, avremmo tutte le carte in regola. Vi ricordo che i campionati mondiali di basket in Italia non ci sono mai stati, è una manifestazione che si svolge ogni quattro anni. I mondiali del 2027 sono già stati decisi (saranno in Qatar, ndr ), ma quelli del 2031 vanno assegnati. È un’occasione per mettere in moto tutta una serie di energie indispensabili per ripensare lo sviluppo della città. Quando c’è un obiettivo e una scadenza, le cose poi si fanno. Pensate a Bologna 2000 Città della Cultura: portammo a casa l’intera riqualificazione dell’area del Cavaticcio, con MAMbo ed ex Manifattura Tabacchi".
Pensando al contingente: la Garisenda va messa in sicurezza...
"Benissimo metterla in sicurezza. Ora dobbiamo pensare a questo. Ma sulla Torre sarei dirompente. Non voglio dire che la butterei giù e la rifarei, ma la ripenserei con una bella gara internazionale alla quale far partecipare tanti architetti, un po’ come successo a Berlino con il Reichstag. Una parte è rimasta uguale, l’altra, la cupola trasparente, l’hanno ricostruita. Tanto per dire il Palazzo accoglie 3 milioni di visitatori l’anno".
Che tipo di Garisenda immagina?
"Una Garisenda 5.0, partendo già dalla ’camicia’ che dovrà rivestirla così da far diventare da subito la Torre un’attrazione che va oltre alla tristezza dei container. Penserei a qualche artista di arte contemporanea. Nel frattempo si potrebbe far partire un concorso internazionale per la nuova Torre dove potrebbero partecipare grandi nomi del calibro di Renzo Piano o Norman Foster. A quel punto si potrebbe sottoporre l’idea a un referendum".
Il caso-Garisenda potrebbe spingere anche sulla pedonalizzazione del centro storico. Che cosa ne pensa?
"Ci sono pro e contro. I punti a favore sono che la città diventa più umana, più vivibile, la gente fa più moto. Bologna è una città che ha un raggio di un chilometro dalle Mura: si tratta di fare 700 metri a piedi sotto i Portici. Poi, certo, mancano i parcheggi e le infrastrutture. Per questo va pensato un nuovo assetto urbanistico. A partire dalle caserme. Se penso all’area ex-Staveco ricordo di averla visitata negli anni ’90 con l’allora ministro dalla Difesa Andreatta. L’ex Staveco (che diventerà una nuova cittadella giudiziaria, ndr ) è ancora lì... Non possiamo permetterci che Bologna diventi la città delle occasioni perse".
Quando sprona l’amministrazione al «coraggio», si riferisce anche alla cultura?
"Noi abbiamo un grande artista moderno che è Morandi. Speriamo che arrivi presto il museo e che le forze retrive della città non ne frenino la nascita...".
C’è un erede di Morandi?
"Sì. Luigi Ontani, artista legato a Bologna. A Vergato c’è una fontana e il Comune gli ha dedicato una sala. Si doveva anche allestire un museo alla Rocchetta Mattei, ma non si è fatto nulla. Credo sia il momento che Bologna gli dedichi un piccolo museo. Avrei anche la destinazione ideale: la ’Villa delle Rose’. Sarebbe un gioiello, meta di turisti da tutto il mondo".
A proposito di turismo, pensa che in questi ultimi dieci anni il grande afflusso di visitatori – una vera svolta rispetto al passato – abbia snaturato la città?
"Abbiamo tre volte il numero di turisti rispetto alla popolazione della città. Per decenni abbiamo provato di tutto per attirare turisti, adesso il patto faustiano – attirando e mantenendo le rotte di Ryanair – l’abbiamo fatto. Tantissimi vengono a Bologna perché è in una posizione strategica e perché si mangia bene. Ora, però, serve un passo successivo: dobbiamo organizzare un’offerta più elevata in termini culturali, in modo da selezionare un turismo di livello più elevato. Non ci siamo resi conto di cosa avrebbe comportato l’arrivo di Ryanair: non si può né si deve tornare indietro, ma ora dobbiamo ripensare l’intero assetto urbanistico, che guardi tra 20 e 30 anni e riguardi, ovviamente, anche l’aeroporto".
Ecco, non è che Bologna pecca un po’ di programmazione in urbanistica?
"Bologna ha vissuto nel giorno dopo giorno. Dagli anni Ottanta, tutte le volte che si progetta qualcosa per proiettare la città del futuro, c’è qualcuno che frena. Del progetto di Kenzo Tange per la Fiera sono rimaste quattro torri, ma il plastico è ancora là e doveva inserire il quartiere fieristico nella città. Abbiamo progettato due volte la stazione, con Bofill e Isozaki, e poi siamo stati obbligati a fare l’Alta velocità, sotto terra, ma non è ’La Stazione’ come doveva essere. Progetto e concorso sono rimasti lettera morta. Il Lazzaretto doveva diventare una cittadella universitaria, doveva passare il People mover. Ora per gran parte sono rimasti prati. Dodici anni fa provai a portare le Universiadi in città: il Lazzaretto sarebbe stato il villaggio olimpico e sulla città sarebbero piovuti centinaia di milioni. Ma anche quell’occasione è andata persa".
Come mai?
"Si dice che a Bologna, quando offri agli amici lo champagne, c’è sempre qualcuno che si alza e dice che ’sa di tappo’. Prendiamo i comitati: la capacità di aggregazione è un bene quando si tratta di solidarietà, ad esempio, il rovescio della medaglia è che, tutte le volte che si propone di chiudere una strada, arriva un gruppo che cerca di bloccare il progetto. Per questo, dicevo prima, bisogna darsi delle scadenze, degli obiettivi".
Cosa ne pensa della settimana corta di quattro giorni proposta dalla Lamborghini?
"Io ricordo che mio padre lavorava anche il sa bato. Poi abbiamo smesso e molte aziende chiudono al venerdì pomeriggio. Quindi, premesso che è una cosa che non tutti possono permettersi – se offri un servizio o hai degli addetti a prendere gli ordini, al venerdì deve esserci qualcuno in azienda – secondo me Lamborghini ha aperto una strada molto interessante".
Soprattutto chi ha famiglia è molto soddisfatto del cambio...
"La conciliazione dei tempi di vita con quelli lavorativi potrebbe aiutare anche le dipendenti donne. Uno dei limiti di questa città meravigliosa, con un’industria molto dinamica, è che non vedo donne ai vertici delle aziende. C’è ancora una condizione sociale che limita la carriera delle donne: magari riescono a lavorare ma faticano a fare carriera perché costrette a occuparsi dei figli più di quanto faccia il compagno. Ecco, io credo che da Bologna possa partire una riflessione sulla spinta al lavoro femminile".