Bologna, 8 novembre 2019 - C’è tanta Bologna alla base della scoperta che, si spera presto, potrebbe portare alla cura del sarcoma di Ewing, un tumore dell’osso raro e maligno che colpisce un bambino sotto i 15 anni ogni 312.500 (in Italia ogni anno sono poco meno di 100) e che ha un alto potenziale metastatico.“Cinque anni fa, sono stata io ad individuare i glucocorticoidi recettori degli ormoni steroidei che possono stimolare la crescita di cellule tumorali”, rivendica con giusto orgoglio Mattia Lauriola, ricercatrice in forza al dipartimento di Medicina diagnostica specialistica e sperimentale del Policlinico Sant’Orsola. Una scoperta che ha spalancato le porte al lavoro di altri colleghi ricercatori impegnati a combattere e sconfiggere il sarcoma di Ewing.
Di Manfredonia, 39 anni, Lauriola ha conquistato l’alloro in Biotecnologie con Unibo dove ha svolto il suo dottorato. Quindi, i bagagli e un biglietto aereo per il Weizmann Institute of Science in Israele. Dove appunto, un lustro fa, ha individuato i glucocorticoidi. “E’ vero sono uno dei tanti cervelli in fuga che, però, è potuto rientrare”, chiosa. Lo studio appassionato, nonché matto e disperato, è la sua arma segreta. “Quando si è trattato di decidere se restare o no all’estero, ho scelto di ritornare”.
L’occasione, nel 2016, gliela fornisce “il concorso per ricercatrice a tempo determinato bandito da Unibo” che, in questo modo, l’ha riaccolta nei suoi ranghi. “Continuerò qui le mie ricerche che ora si focalizzano su un altro tipo di tumore solido che colpisce il colon per cui ci sono terapie o insufficienti o con un effetto immediato che, però, dopo anni non funziona più” L’inizio della sua scoperta risale al post dottorato, quando Lauriola guarda al Weizmann Institute of Science che ospita un gruppo di punta al lavoro sui trattamenti ai tumori di tipo solido. Lì prende forma la sua sfida.
“La mia è pura ricerca di base”. Quella dove non si deve mai mollare nonostante gli insuccessi e gli errori. “La ricerca è un lavoro bellissimo, ma molto frustrante dove nulla va mai nella direzione che uno si auspica. Dove si deve ripetere in continuazione, rimodulando sempre le ipotesi”, ammette Lauriola.
Lì tra quelle provette comincia lo screening sull’interazione degli ormoni steroidei e i ‘famosi’ ricettori in particolare quelli della famiglia dei glucocorticoidi. “Il target del mio lavoro”, peraltro centrato.Questo cinque anni fa. “Vedere che quella mia ricerca ha generato un’ipotesi di lavoro che sta dando buoni risultati sui topi, è molto bello”, ammette Lauriola. “Sono stata un’apripista” che, quanto meno, ha regalato una speranza a chi non ne aveva.