REDAZIONE BOLOGNA

Santonastaso all’Itc con il suo "amarcord"

L’attore a San Lazzaro con il nuovo spettacolo "Omaggio a Fellini e alla mia famiglia speciale".

Santonastaso all’Itc con il suo "amarcord"

Suo padre l’aveva avvertito, gliel’aveva detto di non fare l’attore. Suo padre era Pippo Santonastaso. Suo zio, Mario. Insieme erano il duo comico noto al grande pubblico della televisione dal 1970. Ma Andrea Santonastaso ha seguito la sua "vocazione o non vocazione". Chiedendosi, nello spettacolo Da grande voglio fare l’aggettivo, se possa essere segnata la strada di chi nasce in una famiglia di artisti. Perché per tutta l’infanzia ha guardato con stupore suo padre e suo zio costantemente in televisione per poi ritrovarseli come compagni di giochi. Coadiuvato in sede di scrittura e regia dall’amico di una vita Nicola Bonazzi, Santonastaso costruirà, da stasera a sabato alle 21, all’Itc di San Lazzaro, il suo personale "amarcord". Domenica lo spettacolo va in scena alle 16,30 e sabato, dopo la rappresentazione, l’attore incontrerà il pubblico.

Santonastaso, quanto è pesato l’essere "figlio di" e "nipote di" nel corso della sua infanzia?

"Tantissimo, mi preoccupavo molto di quello che pensavano gli altri. Dal punto di vista inconscio invece è stata una benedizione. Li ringrazierò tutta la vita per la loro arte di fare spettacolo. Mio zio lo ringrazierò per ragioni infinite. Aveva un caratteraccio ma è sempre stato una spalla, lo era nella vita oltre che nel duo".

Che consigli le ha dato suo padre nella sua carriera?

"Il primo è stato quello di non fare l’attore, diceva che l’ambiente era maligno e poco sincero. E infatti ho iniziato a studiare di nascosto. L’ha scoperto solo quando l’ho invitato al primo spettacolo. E alla fine mi ha detto: "Va bene, puoi fare l’attore".

Il primo ricordo della sua famiglia "speciale eppure normalissima"?

"Io e mia sorella che giocavamo con palloncini appena gonfiati, li calciavamo e ci muovevamo a rallentatore. Mio padre ci guardò e il giorno dopo lui e Mario montarono uno sketch in cui erano due calciatori e si muovevano come noi, a rallentatore". Lo spettacolo è anche un omaggio a Fellini…

"Ha costruito tanto di quello è diventato sull’arte di immaginare. Io e Nicola, insieme, ci siamo resi conto di quanto quest’arte fosse fondamentale. Lo si fa per non annoiarsi, si racconta la propria vita cambiando la versione dei fatti".

Ha capito poi se è una vocazione o una non vocazione?

"L’ho capito quando ho sentito che la spinta era troppo forte. Lo spettacolo era il Don Carlos e io interpretavo tutti i personaggi, Don Carlos, Duca d’Alba e Filippo d’Orleans. Mi rendevo conto che avevo pieno controllo di quello facevo. Questo è stato decisivo".

Amalia Apicella